Domanda
Gentile dott.ssa Agnone,
le scrivo per mio figlio, un bambino di 3 anni e sta frequentando il primo anno d’asilo, oggi c’è stata la prima riunione individuale dove mi hanno raccontato un po’ di cose riguardo i suoi comportamenti.
Premetto che sono la prima che dice che è un bambino vivace non si ferma mai, e spesso non ascolta. Dunque oggi mi hanno detto che a scuola la sua vivacità e la sua irrequietezza lo porta a farsi isolare, e reagisce picchiando e non ascolta le maestre.
Come ho detto prima è molto vivace, ma non l’ho mai visto aver problemi con i bambini. Sono una mamma sola, non c’è la presenza del padre, magari devo avere più polso!
Per quanto riguarda il comportamento all’asilo non so proprio come agire.
Risposta
Cara mamma,
l’ascolto è un’arte che si impara.
Quando i bambini fanno il loro ingresso nel mondo della scuola, si confrontano con un ambiente molto diverso da quello di casa, ed è quindi possibile che il modo di comunicare con altri adulti o con i coetanei li metta in contatto con altre modalità fino a quel momento a loro sconosciute.
Non riuscire a interagire o a comunicare secondo i propri desideri può essere frustrante, e portare a delle reazioni di rabbia.
Così come può anche accadere che il bambino sperimenti la fatica di farsi ascoltare, che si ripercuote nella sua conseguente fatica ad ascoltare gli altri.
Se insegnare ai bambini l’ascolto non è facile è perché questo è legato ad una difficoltà che abbiamo noi adulti, che troppo spesso ci lasciamo prendere da troppe cose contemporaneamente: quante volte pensiamo e facciamo altro mentre qualcuno ci parla? O mentre l’altro ci parla stiamo già pensando a cosa rispondergli?
Esiste nell’ascolto la capacità di non fare altro che ascoltare, permettendoci così di farlo fino in fondo e di cogliere tutti gli aspetti (anche quelli non verbali) della comunicazione.
Il primo presupposto perché un bimbo sappia ascoltare è quindi fare esperienza di qualcuno che ti ascolta totalmente.
Il modo migliore di ascoltare i bambini è quello di stare con loro senza pregiudizi, recuperando la nostra esperienza dell’essere stati bambini, ricordando cosa e come volevamo essere ascoltati dagli adulti.
È ormai condivisa l’importanza che ha il porsi allo stesso livello del bambino, abbassandoci fino a poterlo guardare negli occhi quando ci parla.
È prima di dare loro una risposta concreta, sarebbe bello che i bambini sapessero che apprezziamo lo sforzo che fanno di comunicare con noi. Il coraggio di dirci delle cose, o la bravura nel dire quello che ancora non sanno dire.
Nessuno vuole isolarsi o stare da solo, e quando questo succede vuol dire che è in corso una difficoltà a costruire un ponte verso l’altro, difficoltà che sicuramente richiede l’aiuto di un adulto, una persona di cui potersi fidare.
Per quello che mi è dato cogliere attraverso una mail, quello che mi sento di dirti è che tuo figlio è ancora piccolo, e cambierà ancora tanto il suo modo di approcciarsi ai compagni di classe. Nel frattempo, potresti provare a dedicargli un po’ di tempo, magari facendo insieme dei giochi che possano aiutare a sviluppare la concentrazione, pre-requisito della capacità di ascolto.
Alcuni di questi sono giochi basati sulla ripetizione di sequenze musicali o ritmiche, o sono puzzle, disegni, esercizi che allenano la sua attenzione mentre tu gli stai vicino.
È anche possibile che lui usi la sua vivacità come l’espressione di un disagio che non sa esprimere diversamente: mi dici di essere sola, e mi chiedo quanto la tua fatica, la tua stanchezza, la tua difficoltà nell’essere il suo unico punto di riferimento si possa ripercuotere sulle sue esperienze. Per quanto riguarda questo, proverei a consultare un terapeuta che ti sia di sostegno in questo momento particolare: avere qualcuno che ti ascolta alleggerirebbe la tua solitudine, e non escludo che questo potrebbe avere effetti positivi anche sulla relazione con tuo figlio, e di conseguenza sulle sue relazioni a scuola.
Spero di esserti stata di aiuto, e ti faccio i miei migliori auguri.
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