Domanda
Gent.ma Dottoressa Agnone,
sono una mamma di 31 anni, ho due bimbe, rispettivamente di 20 mesi e di 2 mesi. Ho bisogno di un suo consiglio su come comportarmi con la mia bimba “grande”.
Dal giorno in cui è nata la sorellina, ha smesso di mangiare. Mi spiego meglio, beve solo latte e biscotti, dai 600 g agli 800 g al giorno e poi “mangiucchia”, un biscottino, un pezzetto di parmigiano o prosciutto o mozzarella… ma si tratta comunque di quantità ridottissime, che non possono certo sostituire un pasto completo.
La pediatra ci ha suggerito di assecondarla, di farle mangiare ciò che le piace e di non rimproverarla. Ma la situazione non cambia. Appena vede il piatto comincia a strillare e a piangere disperatamente senza voler neanche assaggiare.
Io sono sinceramente preoccupata, anche perché naturalmente la bambina è dimagrita e vedo che ha le occhiaie. Però continua ad essere sempre energica e vivace. E’ una bimba allegra e serena. Con la sorellina è tutta coccole e carezze.
Inoltre a volte la notte si sveglia all’improvviso urlando e piangendo, è inconsolabile, non vuole essere toccata né presa in braccio… e dopo qualche minuto di disperazione si riaddormenta da sola.
Io non so cosa fare… le attenzioni non le mancano, anzi! La coccoliamo come prima e la coinvolgiamo anche in tutto ciò che riguarda la sorellina piccola.
Gentilmente avrei bisogno di consigli su come comportarmi, su cosa fare per indurla di nuovo a mangiare (perché prima di questo periodo mangiava di tutto senza problemi) e a tranquillizzarla la notte. Anche perché io soffro moltissimo di questa situazione, mi sento responsabile...
A volte capita che mi guarda mentre allatto la sorellina e se vuole venire in braccio capisce da sola che non posso prenderla, così mi abbraccia le gambe e poggia la sua testa sulle mie ginocchia, altre volte mi guarda triste e si siede a terra o prende un giochino per consolarsi, e se quando finisco cerco di prenderla in braccio non vuole venirci, mi spinge via…
Grazie per aver ascoltato il mio sfogo, attendo con ansia una sua risposta.
Risposta
Cara mamma,
nelle tue ultime righe colgo quelli che sembrano i temi della tua richiesta: la tua preoccupazione ed il tuo senso di colpa. Non è facile per me suggerirti delle strategie che “risolvano il problema”, senza tenere conto che ci saranno di certo aspetti “invisibili” di cui questa dinamica è solo una parte.
L’arrivo di un bimbo, del secondogenito, è un evento che sconvolge profondamente le dinamiche di una famiglia, ed è normale che sia un evento “critico” per tutti i suoi membri. Come ogni evento critico (che, se notate, è sempre il fulcro dei nostri articoli), ha in sé l’aspetto della difficoltà, ma anche quello dell’opportunità.
La nascita del fratellino, infatti, è un momento di cambiamento: è facile che il primogenito esprima disagio (anche perché è un bambino!), ma in realtà l’evento modifica le dinamiche (ma anche gli orari, le abitudini…) di tutta la famiglia.
Non per questo possiamo ipotizzare che sarebbe meglio restare primogeniti! I fratelli sono una risorsa su tutti i piani, anche se il rovescio della medaglia si paga in termini di adattamento (familiare).
Se questo processo è uguale per tutti, ciò che è diverso in ogni famiglia è il modo in cui si esprime il disagio: la sua intensità e i suoi contenuti si manifestano in una storia e dentro modalità specifiche di entrare in relazione. Ed è su questa specificità (vogliamo anche chiamarla unicità) che si può (e si deve) lavorare, non solo in termini problematici, ma soprattutto di punti di forza.
Qual’è il vostro tema?
Tua figlia si è resa conto di dover dividere l’amore dei suoi genitori con “un intruso”, e la cosa (giustamente!) non le piace. In questo momento è confusa, spaventata (possiamo immaginare che tema di perdere le attenzioni, le coccole, l’affetto), è anche arrabbiata.
Credo che in questo clima emotivo ciascuno di noi troverebbe difficile mangiare.
Questa è la prima cosa che ti chiedo di tenere presente quando la guardi: tieni in grande conto i suoi vissuti, perché questo aiuterà te a stare più serena, e lei a sentirsi considerata in quel che prova. E questo è già risolutivo.
Senza condannare i suoi sentimenti, infatti, è importante accompagnarla nel percorso che la porterà a comprendere (o per meglio dire “a credere”, dal momento che non è una cosa razionale ma esperienziale) che avere una sorella sia un vantaggio, e non una perdita.
È una strada complessa, che richiede tempo e pazienza. Ma come i genitori sono quelli che “infliggono questo “trauma” (stiamo esagerando nelle definizioni, ma questo ci aiuta ad esemplificare), sono anche quelli che lo trasformano in esperienza positiva, di crescita e di integrazione.
In realtà è chiaro che la nascita di un fratello non è un trauma, quanto piuttosto un “tradimento necessario”: serve a crescere, e tradisce l’illusione che nella vita tutto ci sia dovuto, semplificato, accordato secondo i nostri desideri. La vita è relazione, dunque compromesso, e la famiglia è il primo luogo, e anche quello ideale, dove sperimentare tutto questo.
La perdita dell’esclusività è un dato di realtà con il quale prima o poi tutti i bambini si confrontano, e superarla è un passo necessario ad adattarsi al mondo, ma il modo in cui questo può avvenire può essere un’occasione unica ed importante in cui sperimentare il sostegno nella difficoltà.
Questo è il compito di voi genitori: essere con lei. Aiutarla a superare la “fatica” della crescita facendole sperimentare che voi siete lì per sostenerla.
Tutto questo non è facile: la posizione ideale è quella che non sconfina nel permissivismo e nemmeno nella rigidità. Un bambino, del resto, non ha gli strumenti di un adulto per comprendere certe dinamiche, le stesse di cui noi adesso stiamo parlando, ed è per questo che è importante che esse siano chiare almeno a voi genitori, in modo da manifestare ragionevolezza e comprensione nei suoi confronti e nello stesso tempo nel mettere in atto strategie di sostegno.
Ma parliamo anche della specificità del tema, che è il rifiuto del cibo: un tema complesso, sul quale tuttavia proverò a spendere qualche riga.
Sappiamo bene che l’alimentazione non è soltanto una questione di nutrizione, ma ha moltissimi significati psicologici, simbolici, culturali. Non possiamo negare che il cibo abbia un valore centrale nella vita di ciascuno, e non solo perché è fonte di sostentamento, ma soprattutto perché è veicolo di emozioni e momenti di condivisione.
Per usare una metafora, non mangiamo soltanto “cibo”, ma anche affetti, tradizioni, abitudini.
Il rifiuto del cibo per un bambino è un messaggio per le persone che lo nutrono: un messaggio duplice, che da un lato esprime un disagio, ma dall’altro esprime differenziazione (una fase fondamentale dello sviluppo della persona).
Differenziarsi significa esprimere se stessi come individui, anche quando questo significa esprimere rabbia: una rabbia sana, legittima (se voi la rendete legittima!), che se vissuta fino in fondo può essere assimilata e digerita, senza lasciare nulla alle sue spalle.
Culturalmente non siamo molto abituati a leggittimare le emozioni negative, come la rabbia, la tristezza, la difficoltà, e la preoccupazione ci porta a desiderare di sbarazzarcene molto in fretta, perdendo così di vista il valore positivo che queste emozioni hanno, dal momento che fanno parte anch’esse della vita.
Il cibo è per tua figlia il suo no a quel che accade, è il veicolo di quel che prova, e nello stesso tempo è il modo per distinguere ciò che le appartiene. E’ importante che lei abbia il modo di esprimere i suoi vissuti senza per questo sentirsi in colpa, o una cattiva bambina. E’ come se il suo pancino fosse pieno di tante di quelle cose strane, nuove, difficili, da non avere spazio per altro.
Essere bravi bambini, nel luogo comune, equivale spesso a “accettare senza fare storie” il cibo, le regole, quel che dicono i grandi (sono infatti comportamenti molto lodali nel nostro sistema educativo). Essere troppo accondiscendenti è un prezzo che si paga da adulti.
È comprensibile che, come mamma, tu ti senta preoccupata, che provi ansia ed impotenza davanti al suo comportamento, e che alcuni momenti siano difficili da gestire.
Non leggere il rifiuto di tua figlia, tuttavia, come un’offesa personale: non è un rifiuto verso di te, ma un modo di esprimere un messaggio usando i mezzi a sua disposizione.
- Il primo suggerimento che ti do è di “fare squadra” con tuo marito, e di affrontare insieme la questione. Anche quando è dura e vi sentite messi alla prova, mantenete la serenità e cercate nel sostegno reciproco il modo di non perdere la calma.
- Il secondo suggerimento concorda con quanto detto dalla pediatra: l’accanimento non vi aiuterà a convincerla a mangiare, ma solo la pazienza e l’indifferenza vi permetteranno di superare la cosa con semplicità.
- Il terzo suggerimento è come un mantra: non perdere di vista che è solo un momento, e che non è destinato a durare per sempre. Passerà. Dai a tutto questo il giusto tempo per fare il suo percorso, senza avere fretta.
Il rischio è, al contrario, di innestare un circolo vizioso in cui tua figlia, che certamente percepisce la tua ansia e la tua preoccupazione, reagisca di conseguenza.
Io credo sia molto piccola per pensare ad un lavoro terapeutico che si occupi della relazione tra lei e voi. Penserei, invece, di chiedere un sostegno come coppia genitoriale, che vi aiuti a decodificare il comportamento fenomenologico (ciò che accade, così com’è, senza interpretazioni), e vi aiuti a stabilire un progetto che diventerà una risorsa anche per la vostra crescita.
E non mi riferisco solo al comportamento di tua figlia, ma anche al tuo, o a quello di tuo marito: tante volte, senza volerlo, mettiamo in atto dei comportamenti che diventano parte integrante di una dinamica di cui il sintomo (in questo caso il non mangiare) è solo una minima parte. E in questo caso, credo che sia molto importante quel che fate più di quel che dite.
Adesso stiamo discutendo di un comportamento (quello di tua figlia), ma avere la possibilità di osservarvi tutti insieme, quando interagite tra di voi, dà certamente un quadro completo della situazione di cui tutti fate parte e in cui giocate un ruolo. E la “soluzione” appartiene un pò a tutti.
Date molto valore al momento del pasto: sembrerà banale, ma concentratevi sulle sensazioni, come siete, come state, su quel che accade, tenendo presente che la famiglia nutre il bambino soprattutto di emozioni e affettività, ed il cibo in molti casi è solo un mezzo. Se riuscirai a nutrirla di tutto questo, la scelta degli alimenti sarà solo una conseguenza.
Concludo con un grande augurio per voi, nella convinzione che questo momento sia solo una fase, e che presto troverete il modo di ritrovare il gusto della vita. Insieme.
In bocca al lupo.
Mia figlia di 6 anni, non mangia da circa 7 giorni,( unica cosa beve il latte la mattina e la sera): perche’ non riesce a masticare, dicendo di soffocare.
qualche giorno fa’ ha provato una mollica di pane dopo diche’ a iniziato a spurate di continuo, lamentantosi che gli dava fastidio.
ci siamo rivolti al pediatra, dicendoci di assecondarla, ma questo secondo me non basta, come possiamo fare!!!
sono il papa’ di sofia 17 mesi, vorrei ringraziare marcella agnone per l’attenzione dimostrata nella “lettura tra le righe“ ed il relativo intervento.