Domanda
Gentilissima Dottoressa Agnone,
sono mamma di un bambino di 5 anni (tra un mese 6) che iniziato a settembre il primo anno di scuola primaria.
È sempre stato un bambino molto vivace, molto socievole, molto coscienzioso e molto sensibile.
È stato sempre descritto dalle maestre (della materna) come un bambino: buono, generoso e molto partecipativo alle attività della materna.
Al contempo, però, con la stessa intensità con cui é un figlio modello (sotto alcuni aspetti, elencati pocanzi) é altrettanto ostinato (sopratutto in presenza delle nonne ed in famiglia in generale), molto “permaloso” (se così possiamo definire un bambino) se veniva rimproverato o bisticciava con i suoi compagni: ci voleva diverso tempo per fargli accettare la critica, o digerire la presa in giro, il dispetto o magari anche far passare l’arrabbiatura. E’ anche capitato che se doveva chiedere scusa non lo facesse immediatamente ( se non riteneva giusto per lui farlo. nel senso: se non riconosceva subito o non aveva immediata consapevolezza di quanto fatto) ma comunque alla fine (nonostante i tempi, a volte) il caso si concludeva con le sue scuse e sopratutto una volta compreso il problema é capitato anche che esplodesse in grandi pianti di dispiacere o magari un suo atteggiamente molto mortificato e dispiaciuto (davvero eccessivo a volte).
Ho sempre pensato, a riguardo, che fosse piccolo e che, come é diritto di ogni bambino, avesse solo bisogno dei suoi tempi.
Arriviamo alla soglia della scuola primaria (ci tengo a premettere che mio figlio era felicissimo di andare a scuola e finalmente imparare a leggere e scrivere e non vedeva l’ora.) e l’unica cosa che lo angosciava e lo rendeva molto insicuro e spaventato era: i compagni. Si perché in classe non avrebbe avuto amichetti della materna, e per lui, il “non conoscere nessuno” all’interno della classe significava che: nessuno lo avrebbe voluto per amico e nessuno lo avrebbe considerato (cosa altamente sbagliata dato che é molto socievole e in ogni contesto dove si é trovato che sia scuola o tempo libero é sempre uno dei primi ad attaccar bottone con gli altri bambini o a proporre di giocare e viene sempre accolto molto bene, di solito).
Abbiamo cambiato casa due anni fa (e quindi anche quartiere e circondario di appartenenza per la scuola, ma non città) e nonostante nel circondario ha conosciuto con il tempo dei bambini, questi putroppo sono capitati smistati in altre prime classi e la maggioranza di bambini della sua materna hanno optato per un altra primaria quella del proprio distretto) e la scelta di mandarlo in questa scuola é stata dettata sopratutto perché volevamo mandarlo alla scuola di quartiere per permettergli di potersi fare degli amici di lunga data dalla primaria alle medie (dato che il plesso é unico: materna, primaria, medie) però sapevamo chequesto avrebbe significato mandarlo “senza amichetti” ma eravamo pienamente fiduciosi che in breve tempo se ne sarebbe rifatti.
Detto questo, siamo ai primi giorni di novembre e già dai primi giorni di scuola nostro figlio ha iniziato a tornare a casa: agitato, nervoso, molto aggressivo nei nostri confronti e sopratutto con un bel vocabolario (mi permetto di dire molto ricco) di parolacce che usa (da diverse settimane) senza ritegno e senza pensare più, come una volta, se fa bene o male , quasi come se volesse farci un dispetto o far vedere che lui adesso é diventato così. Inoltre é diventato manesco.
Per manesco intendo che qualunque sia il dispetto che riceve o la provocazione (verbale e non ) lui risponde alzando le mani. Le maestre da qualche giorno si lamentano molto di questo comportamento, confermando che molte volte viene provocato ma che lui risponde in maniera eccessiva.
Un esempio su tutti: fermata dalla maestra perché aveva tirato in maniera molto forte i capelli ad una sua compagna e quando era stato interpellato sul “perché” lo avesse fatto lui in tono molto adirato ha risposto che lo aveva preso in giro. Io, mi sono scusata più volte con la maestra e ho detto che ne avremmo sicuramente discusso a casa anche con il papà. Appena allontanati dal cancello della scuola e salito in macchina, mio figlio in macchina é scoppiato a piangere dicendo che la scuola era bruttissima, che nessuno gli voleva bene e nessuno voleva essergli amico. Disperato continuava ad urlare che le maestre sgridavano solo lui e non punivano chi lo aveva preso in giro.
Inutile dirLe che sia io che mio marito ci siamo impiegati non poco per fargli capire che nel momento in cui avrebbe alzato le mani, in qualunque circostanza, rispondendo ad una provocazione verbale con le mani sarebbe passato automaticamente dalla parte del torto.
Dopo giorni di chiacchierate e racconti, dove ci ha detto più volte che gli piace moltissimo andare a scuola ed imparare ma i suoi compagni non gli piaccevano assolutamente, e che non erano affatto gentili e carini (ci ha riferito di alcuni che non lo fanno giocare con loro e altri che lo prendono in giro, oppure che in mensa o alla ricrezione ognuno gioca con il proprio amico e difficilmente lo includono nei giochi).
Noi abbiamo sottolineato più volte che lui fa sempre bene a proporsi e a farsi notare sempre con modi gentili e carini ma se poi, magari ad un rifiuto, risponde usando le mani o in maniera troppo brusca (con parolacce), di sicuro non avrebbe facilitato le cose.
Sembrava aver compreso la cosa e il lunedì successivo era andato a scuola sereno e molto felice (come tutte le mattine, come dice lui adora la scuola, tranne i suoi compagni tanto che la mattina é felice di andare e non fa mai storie:non ha nemmeno mai pianto i primi giorni per il distacco- cosa che invece in diversi hanno fatto ) ed invece, all’uscita, sono stata fermata dalla maestra che ci ha comunicato di essere stata insultata da nostro figlio, il quale si era rifiutato di chiederLe scusa.
Inutile dirLe che sono rimasta sbigottita e tremendamente turbata da questo episodio. In pratica era come se mi stessero riferendo di un altro bambino e non assolutamente del mio.
Anche in quest’ultima circostanza mi sono scusata ma ero altrettanto infastidita dal modo molto brusco con cui anche la maestra si stava rapportando a me, ma non voglio scendere in polemiche inutili sulla maestra (in questo momento mi preme di più sicuramente aiutare mio figlio).
Una volta tornati a casa mio figlio tra le lacrime mi ha riferito che non viene ascoltato dalle maestre, che vedono solo il suo gesto (magari se alza le mani) e che lui aveva smesso di dir loro cosa fosse successo perché tanto lo avrebbero sgridato lo stesso.
Questo ultimo episodio ha provocato in me e mio marito un forte turbamento perché non lo avevamo mai visto in queste vesti e sopratutto siamo sempre stati abituati al fatto che era lui a prenderle e a subire alla materna, il più delle volte, mentre ora lo vediamo molto frustrato e sopratutto sofferente.
Inoltre é spesso triste, molto molto rammaricato per questa situazione. Notiamo anche che spesso prova ad approcciarsi nuovamente (all’arrivo a scuola o se ci si incontra in giro per la città) con questi compagni dai quali però non riceve lo stesso interesse (evidentemente prevenuti dai suoi atteggiamenti sbagliati..penso..)
È evidente che stia passando un periodo terribile (e noi con lui), ma noi non sappiamo più come stargli vicino.
Lo abbiamo incoraggiato, ripreso, sostenuto, sgridato e lasciato perdere.. ma ci sono giornate dove tutto qeusto sembra vano ..e niente può far cambiare questa situazione.
Cosa possiamo fare dottoressa?
Come lo possiamo aiutare?
E’ una fase della crescita? Ha solo bisogno di tempo?
La ringrazio anticipatamente per l’attenzione.
Federica
ps. ci tengo a precisare che mangia regolare, NON ha risvegli notturni (dorme regolare anzi quando torna é stanchissimo) e nonostante tutti questi problemi con i compagni segue molto bene il programma e non ha mai dato segni di insofferenza nell’apprendimento o di disinteresse alla scuola (inteso come didattica).
Inoltre siamo preoccupati che a lungo andare questo influisca negativamente anche sul suo andamento scolastico (abbiamo paura che dalla negazione del gioco a quella del non voler più fare niente per imparare oppure al non voler più andare a scuola…il passo sia breve!)
Risposta
Cara Federica,
dalla lunghezza della tua mail mi giunge chiarissimo il tuo bisogno di condivisione.
Condivisione -ipotizzo- di questo momento critico, di responsabilità, di preoccupazione, della cura di questo bambino.
Mentre leggevo pensavo che, nella tua dovizia di particolari, sei alla ricerca di qualcuno che ti ascolti. Non ti conosco, posso sbagliarmi, ma mi viene in mente qualcuno che ti affianchi nel mestiere mai facile di mamma.
La domanda mi sorge spontanea: cosa ne pensa il papà del bambino? Qual è la sua idea del problema? Come potrai immaginare che io ti scriva, sarebbe interessante confrontare le vostre percezioni, vedere in cosa si incontrano ed in cosa divergono.
La sensibilità dei bambini, unita al disagio che transitoriamente possono talvolta attraversare, è senz’altro una “questione di famiglia”. Come, d’altro canto, potrei dirti tante cose sul comportamento del piccolo, che tuttavia a distanza non mi sento di giudicare dal momento che, ritengo, rimarrebbero parole “teoriche”.
Mi viene in mente, e te lo scrivo così come la penso, che sarebbe carino poter ascoltare anche tuo figlio, trovare il modo (forse in un contesto ludico in cui possa esprimersi liberamente ma entro confini protetti) di fargli dire cosa prova, com’è per lui questa situazione, come gli piacerebbe che cambiasse.
Non so se hai già fatto dei tentativi in questa direzione, ma talvolta è proprio coi mamma e papà che è più difficile parlare, per mille ragioni.
Il suo essere suscettibile, la sua difficoltà ad accettare il cambiamento, la novità, l’ignoto (i compagni che non conosce), così come la sua reazione davanti alle provocazioni, sono di certo degli elementi che si sono costruiti nella sua storia, e vengono ora espressi come una richiesta di aiuto.
Tuo figlio tenta di esprimere una difficoltà che merita di essere accolta, perché lui possa essere sostenuto (al di là della relazione che può senz’altro esistere con dei compagni che giocano la loro parte, la loro quota di aggressività e responsabilità nei litigi).
Ma i litigi tra bambini, si sa, abitualmente si risolvono in poche battute, ed esprimono un modo sano di ad-gredire il mondo per farsi strada (nel senso etimologico di andare-verso) , e quando così non avviene di certo è necessario porsi qualche domanda in più, cercare di capire e andare oltre.
Da un certo punto di vista, se essere un bambino modello, e talvolta lasciarsi andare in comportamenti opposti, può essere una sana espressione di polarità (un pò come una legge di equilibrio tra gli opposti , un tentativo di sperimentarsi in vari modi che crea dinamicità, quindi “normalità”), attraversare un periodo di manifesta aggresività, al contrario, esprime solo tutto il bisogno di essere “visto”, ovvero il tentativo di comunicare qualcosa che non riesce ad esprimere altrimenti.
Se infatti bambini molto piccoli non riescono a comprendere le parolacce e le offese in senso letterale, i bambini più grandi le usano non soltanto in senso pragmatico, ovvero in base all’effetto che fanno sull’altro, ma anche per attirare l’attenzione o per scaricare la loro aggressività (ovvero il loro disagio).
Suggerirei che questo fosse discusso in presenza di un terapeuta che possa fornire un sostegno alla vostra genitorialità, dare voce alle vostre paure, forza alle vostre risorse, per valutare insieme come procedere nei confronti del bambino: cosa può essere di aiuto fare, dire, pensare per lui.
Nel frattempo, credo che la chiara (e rassicurante) regola che le parolacce non sono consentite, posta con un atteggiamento sereno ma risoluto, sia il migliore punto di partenza. Spesso i bambini che dicono parolacce sono alla ricerca di un’alternativa, quindi prova a consigliargli quali altri parole può utilizzare quando è molto arrabbiato, in sostituzione di quelle “brutte e proibite”. Non lasciarlo da solo: questo trovare insieme altre vie per la sua rabbia è molto terapeutico.
Nonostante tu sia stata molto brava ad espormi la situazione nei minimi particolari, ritengo che la lettura del caso non sia legata a questioni “cognitive”, ma piuttosto ad una comprensione “a pelle”, ovvero legata all‘osservazione fenomenologia dell’incontro con te, con voi. Il cuore del problema, infatti, non è tanto la questione “comportamentale”, ovvero il linguaggio verbale, ma il suo intento comunicativo.
Mi perdonerai, quindi, se non scendo in dettagli che non sarei in grado di esporti con precisione, dal momento che non sono in grado di farlo a distanza.
Spero che la mia risposta ti sia ugualmente di aiuto, e rimango a tua disposizione se desidererai pormi altre domande, ulteriori chiarimenti, o se ti servono delle indicazioni.
Mi permetterai, infine, di suggerirti la lettura di alcuni articoli che ho già scritto su questo sito, e che potrebbero fare al caso tuo. Li trovi nella mia pagina, divisi per tematiche, tra le quali ti lascio liberamente scorrere alla ricerca di quello che più può esserti utile.
Un caro saluto,
Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
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