Cos’è?
Il citomegalovirus (CMV) è uno degli otto membri attualmente conosciuti della famiglia degli herpesvirus che infettano l’uomo.
Come si trasmette?
Il CMV si può trovare nei fluidi corporei come sangue, saliva, urina, lacrime, liquido seminale, liquido vaginale.
L’infezione si trasmette mediante il contatto diretto delle nostre mucose (bocca, naso, occhi, genitali) con i fluidi di persone infette.
Come si manifesta?
Infezione primaria
Quando si manifesta per la prima volta si parla di infezione “primaria”. L’infezione passa il più delle volte inosservata, in altri casi invece si manifesta con sintomi simili a quelli di una comune sindrome parainfluenzale: febbre, gola infiammata, stanchezza e ghiandole ingrossate. Raramente, provoca una sintomatologia simile alla mononucleosi. L’infezione primaria si risolve man mano che l’organismo sviluppa una risposta immunitaria attraverso la produzione di anticorpi (IgG e IgM) e cellule (linfociti) in grado di contrastare il virus. Gli IgM rappresentano la prima risposta all’infezione, la loro durata è limitata: generalmente non sono più rintracciabili a distanza di tre-sei mesi dall’infezione. Al contrario, gli IgG una volta prodotti rimangono per sempre, sono una sorta di memoria dell’organismo. L’infezione dura una o due settimane nell’adulto in buona salute, dopodiché il virus entra in uno stato detto di “latenza”, perché non può più replicarsi.
Infezione riattivata
In particolari condizioni il virus può riattivarsi e riprendere a replicarsi. Le riattivazioni possono essere anche frequenti, ma generalmente non danno sintomi degni di nota. Quando il virus si riattiva, o quando l’individuo infetto viene nuovamente colpito da un citomegalovirus che proviene da un altro individuo, si parla di infezione “secondaria” o “ricorrente”.
Nei bambini che vengono infettati entro il terzo anno di vita, l’infezione dura molto più che nell’adulto, in media 18 mesi, con un minimo di 6 e un massimo di oltre 40. Per tutto questo tempo, questi bambini sono infettivi e possono trasmettere il virus ad altri. Tra i bambini di meno di tre anni che frequentano asili nido ce n’è almeno uno su quattro che elimina il citomegalovirus attraverso le urine e la saliva. I soggetti con infezione riattivata, quindi, non essendo a conoscenza dell’infezione in corso, contribuiscono alla diffusione del virus. Per questi motivi, non sono attuabili misure di prevenzione: un soggetto non immune può venire a contatto con molte persone che eliminano il virus, contraendo così l’infezione. A questo riguardo, non si può far altro che mettere in pratica alcune misure preventive soprattutto nell’accudire bambini in età prescolare. Occorre però sempre tenere presente che sono necessari contatti stretti e prolungati affinché la trasmissione avvenga.
Perché è pericoloso in gravidanza?
In gravidanza, l’infezione da citomegalovirus può essere trasmessa al feto (trasmissione verticale) sia durante un’infezione primaria che a seguito di riattivazione o reinfezione della madre. Tuttavia, è importante tenere ben presente che eventuali patologie fetali malformative o di altro tipo sono causate pressoché esclusivamente da un’infezione primaria.
L’infezione primaria si può verificare una sola volta nella vita. Pertanto, se una gestante ha già contratto in passato l’infezione (e quindi sviluppato i relativi anticorpi), questa non può ripetersi in caso di ulteriore contatto con il virus.
C’è un modo semplice per accertare se si è già contratta o meno l’infezione primaria da CMV: è sufficiente determinare la presenza di anticorpi specifici per citomegalovirus mediante un prelievo di sangue. Se sono presenti IgG specifiche, il soggetto è immune (o sieropositivo) per CMV. È particolarmente importante per una donna fare questo accertamento prima della gravidanza.
Il CMV è la causa di infezione congenita più comune, con un’incidenza pari all’1-3% dei nati vivi negli USA. In Italia l’incidenza è inferiore, ma si stima che nascano ogni anno circa 1.500 bambini con infezione congenita da citomegalovirus. Di questi dai 300 ai 500 soffre o svilupperà nel tempo conseguenze permanenti dell’infezione.
Questi dati sono sicuramente sottostimati, perché quando il danno si manifesta anni dopo la nascita, è difficile risalire al citomegalovirus come causa. A questo proposito è interessante notare che in uno studio recente è stato possibile dimostrare che tra i bambini con grave compromissione dell’udito, il 27% era nato con infezione congenita da citomegalovirus.
Tra i neonati che nascono con infezione congenita da CMV e manifestano sintomi, il 10% non sopravvive, il 60%svilupperà vari gradi di compromissione dell’udito, il 45% soffrirà di ritardo mentale, il 35% di paralisi d’origine cerebrale, il 15% di compromissione della vista.
Tra i neonati che nascono con infezione congenita da CMV e non manifestano sintomi, tutti sopravvivono, ma nel tempo il 7-15% manifesta vari gradi di compromissione dell’udito, il 2-10% soffre di disturbi dell’apprendimento, meno dell’1% di paralisi d’origine cerebrale e l’1-2% di compromissione della vista.
Quando preoccuparsi?
Quasi tutte le infezioni che provocano sintomi nei neonati avvengono o poco prima del concepimento o nei primi tre mesi di gravidanza in donne che vengono a contatto con il virus per la prima volta, ovvero con un’infezione primaria in atto.
La percentuale di trasmissione da madre a feto può arrivare al 50% dei casi nelle infezioni primarie. Purtroppo circa il 30% dei feti infettati soffrirà di gravi handicap.
Se l’infezione avviene nei 6 mesi che precedono il concepimento le probabilità di infezione del feto e di sintomi alla nascita sono inferiori. In uno studio recente su 12 donne che avevano contratto l’infezione tra le 2 e le 18 settimane prima della gravidanza, solo una ha dato alla luce un bimbo infetto ma senza sintomi. Accade che infezioni congenite si verifichino in seguito a infezioni secondarie o ricorrenti, ma in questi casi è raro che ne conseguano sintomi o affezioni gravi nei neonati, perché le madri, già immunizzate prima della gravidanza, proteggono il feto con i loro anticorpi. La frequenza di infezioni congenite da infezioni ricorrenti varia dallo 0,2 al 2%.
Come prevenire l’infezione?
Il fattore di rischio più importante per l’infezione materna è l’esposizione frequente e prolungata a bambini piccoli. Al di sotto dei tre anni, infatti, i bimbi infettati eliminano virus vivo e infettante nella saliva e nelle urine per un periodo medio di 18 mesi. Pertanto le donne sieronegative che hanno contatti con bimbi di quell’età hanno probabilità di contrarre l’infezione in misura dalle 10 alle 25 volte maggiore rispetto alle altre donne.
Il primo consiglio per una gestante sieronegativa è di sottoporsi mensilmente al dosaggio degli anticorpi anti-CMV di tipo IgM e IgG, in modo da poter diagnosticare con tempestività un’eventuale infezione primaria.
Per limitare il rischio di infezione, è consigliabile mettere in pratica alcune misure preventive soprattutto nei confronti di bambini piccoli (principale fonte di contagio), specialmente se frequentano l’asilo nido o la scuola materna:
- Lavarsi spesso le mani, soprattutto dopo aver dato da mangiare, fatto il bagnetto, pulito il naso, o cambiato il pannolino a un bimbo o toccato i suoi giocattoli. Le mani vanno lavate con cura, per almeno 20 secondi, con acqua e sapone.
- Non toccarsi il naso, gli occhi o la bocca con le mani sporche.
- Non baciare bambini piccoli sulla bocca, vicino alla bocca o sulle mani.
- Non mangiare il cibo avanzato da un bambino, non usare le sue posate, il suo piatto o il suo bicchiere.
- Non pulire il ciuccio del bambino con la propria bocca.
- Non condividere asciugamani con un bimbo.
- Evitare di dormire con un bimbo.
- Non mettere in bocca qualsiasi cosa il bimbo possa aver messo in bocca.
- Usare guanti per cambiare il bambino, per maneggiare e lavare la sua biancheria sporca, ma anche per rassettare i suoi giochi; dopo aver finito ed essersi tolti i guanti, lavarsi accuratamente le mani.
- Lavare con acqua e sapone o passare con una soluzione di candeggina diluita (1 parte di candeggina e 9 parti di acqua) i giochi del bambino e risciacquare bene.
Se l’esame rileva IgM positive?
Qualora in una gestante precedentemente non immune compaiano IgG specifiche (sieroconversione) si può porre una diagnosi sierologica certa di infezione primaria. In questo caso, la presenza di IgM virus specifiche avvalora la diagnosi di infezione primaria recente. In tutti gli altri casi, ovvero in assenza di sieroconversione, la presenza di IgM anti-CMV deve essere interpretata.
Di fronte a una positività IgM anti-CMV sono almeno quattro le possibilità da considerare:
- IgM “false”, ovvero IgM evidenziate con test commerciali
- IgM dovute a reazioni crociate con altri virus, da non collegare all’infezione da CMV in atto
- IgM che restano costanti nei controlli successivi e che più spesso indicano un’infezione primaria trascorsa da tempo più o meno lungo
- IgM “vere”, ovvero IgM effettivamente da attribuire a un’infezione primaria recente da CMV.
I primi 3 casi, che non comportano rischi per il bambino, rappresentano la maggioranza dei casi.
Quindi, il riscontro di IgM anti-CMV durante la gravidanza non deve spaventare la gestante, ma solo spingerla a rivolgersi a un centro qualificato.
Se è in corso un’infezione primaria?
Per prima cosa è necessario determinarne l’inizio. La datazione deve tener conto di diversi parametri, clinici e di laboratorio.
Sono utili per datare l’infezione primaria materna alcuni parametri virologici, come l’avidità degli anticorpi IgG specifici, e la determinazione della presenza del virus o di suoi componenti nel sangue periferico della madre. La datazione è importante, innanzitutto perché consente di programmare il momento ottimale per l’esecuzione dell’eventuale accertamento prenatale. Questo non può essere fatto oltre la 23° settimana, ma nemmeno prima, perché il rischio di risultati falsi negativi (cioè di avere un esito negativo al momento della diagnosi prenatale, pur verificandosi una trasmissione successiva dell’infezione al feto) è più alto se trascorrono meno di 6 settimane tra il momento dell’infezione e l’accertamento prenatale.
Inoltre i rischi per il prodotto del concepimento sono diversi a seconda del suo stadio di sviluppo al momento dell’infezione.
Come sapere se l’infezione è stata trasmessa al feto?
L’accertamento prenatale consente di verificare se il feto è stato interessato o no dall’infezione. Infatti, la madre che contrae l’infezione primaria da citomegalovirus durante la gravidanza trasmette l’infezione al feto con una variabile tra il 35 e il 50% dei casi. Se l’infezione non viene trasmessa, il virus non può causare danni al feto.
È possibile accertare se il feto abbia contratto l’infezione, cioè condurre un accertamento prenatale, solamente attraverso esami invasivi, quali l’amniocentesi (prelievo di liquido amniotico) e la funicolocentesi (prelievo di sangue dal cordone ombelicale).
Prima di procedere all’accertamento prenatale è necessario che la madre sia sottoposta a ricerca del DNA del citomegalovirus nel sangue. In caso di positività, sarebbe prudente rimandare per quanto possibile la procedura, per evitare la teorica possibilità di trasmettere l’infezione al feto in seguito alla procedura diagnostica stessa.
Una volta prelevati, i campioni di liquido amniotico e di sangue fetale vengono utilizzati per eseguire esami virologici diversi, che devono essere eseguiti congiuntamente per poter giungere a una diagnosi corretta.
I risultati delle analisi virologiche sono disponibili entro 24-72 ore dal momento dell’accertamento prenatale.
Quali sono i rischi per il feto?
In generale, un’infezione fetale può avere differenti esiti: morte fetale con aborto spontaneo (raro), nascita di un neonato con infezione congenita sintomatica, cioè con segni o sintomi evidenti di malattia in circa il 10% dei casi, o nascita di un neonato con infezione congenita asintomatica (neonato in apparenza sano) per il restante 90% dei casi.
Alla nascita, i neonati sintomatici possono presentare uno o più dei seguenti sintomi: fegato ingrossato, milza ingrossata, ittero, prematurità, petecchie, depositi di calcio nel cervello, microcefalia, basso peso, difetti dell’udito, difetti della vista, alterazioni degli esami del sangue. Questo quadro può essere tanto grave da portare il neonato alla morte o così lieve (sintomi transitori) da risolversi nel giro di poco tempo.
L’80% dei neonati sintomatici può poi manifestare entro i primi anni di vita problemi che alla nascita non erano apparenti, come sordità, difetti della vista, ritardo di sviluppo psicomotorio, o altri problemi neurologici. Anche i neonati con infezione congenita asintomatica possono sviluppare sequele (in particolare difetti dell’udito), ma in una percentuale molto inferiore (circa il 10%). Per questo motivo tutti i nati, sintomatici e non, dovrebbero essere controllati durante i primi mesi e anni di vita, con attenzione.
Purtroppo non esiste un modo di prevedere, durante la gravidanza, se un bimbo con infezione congenita sarà sintomatico o no, se i suoi sintomi saranno leggeri o gravi e permanenti e quali bambini, sintomatici o non, svilupperanno strascichi.
Fonti
Libri
Enciclopedia Medica Italiana, UTET, 2000
Siti
www.cdc.gov
www.antropozonosi.it
www.food-info.net
www.fsis.usda.gov
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