In collaborazione con il Dott. Alessandro Volta,
pediatra presso l’Ospedale Franchini
di Montecchio Emilia (RE)
“Ho conosciuto una mamma che mi ha raccontato di come le prime ore dopo la nascita siano di fondamentale importanza per mamma e neonato. Lo sapevi?”. Mi chiede un’amica un po’ dubbiosa.
Io lo so, ma solo perché al corso ISPEE dell’Anep sto studiando anche questo.
Sono partita da qui, da questa domanda, per formulare qualche riflessione sul primo legame mamma-bambino (altrimenti detto “bonding”). Mi sono resa conto, in questi ultimi mesi (da quando ho preso in mano i libri di Leboyer, Braibanti e Odent) di come il bonding sia una pratica ancora poco diffusa e dalla sconosciuta importanza, lacune di informazione che spesso appartengono anche agli operatori sanitari.
Posso capire che, di primo acchito, questa faccenda delle due ore possa sembrare ad una mamma alquanto inquietante e sollevare automaticamente quesiti ansiogeni del tipo oddio, a me l’hanno portato subito via! Che danni avrà subito? E io che ho fatto il cesareo e che per ore non l’ho visto? E il mio prematuro che è stato in incubatrice?
La sottoscritta è stata separata alla nascita da sua madre, piazzata in una culla termica, maneggiata da puericultrici per giorni e solo dopo più di 70 ore ha potuto vedere e sentire sua mamma e quando ha letto per la prima volta dell’importanza del bonding nel post partum ha tremato per se stessa.
Non è il caso di infilarsi in pensieri contorti se con i nostri figli non siamo state così fortunate e adeguatamente seguite da poter abbandonarci ad un bonding senza interferenze. I meccanismi di riparazione, sia dei bambini che delle madri, sono sorprendenti.
Però è altresì importante che questa cultura del legame si diffonda e che ne si capisca l’importanza, non solo da un punto di vista fisiologico ma anche emotivo-relazionale.
Il bisogno di assoluta vicinanza del post partum è una necessità sia fisiologica che emotiva di straordinaria importanza per lo stabilirsi di quella che Michel Odent chiama “salute primale“, vale a dire salute del periodo perinatale, che va dal concepimento fino alla fine del primo anno di vita, dalla cosidetta “endogestazione” alla cosidetta “esogestazione”.
Come dice Gabriella Fois “il bambino ha bisogno di stare ancora unito a te nelle prime due ore dopo il parto, fintanto che si mantengono alti i livelli ormonali e almeno fino a quando il cordone non smette di pulsare; ciò gli assicura l’adattamento alla vita atmosferica. Il bambino comincia a orientarsi attraverso i suoi sensi, ascolta la tua voce, apre gli occhi, ti annusa, muove le labbra e tirando fuori la lingua incomincia a leccarti e strisciando sa arrivare al capezzolo, dove farà la prima conoscenza con il seno e il colostro. Da parte tua in queste due ore con il bambino, grazie agli ormoni del parto spontaneo, ti senti gratificata, attenta, tenera e amorosa, molto presente, provi un senso di potenza (per la materializzazione del bambino) e senti un forte bisogno di ritrovare te stessa, soprattutto quando l’esperienza del parto è stata difficile. Attaccando il bambino al seno stimoli la conclusione del parto con il secondamento e l’espulsione della placenta. Per gli operatori è un periodo passivo, di osservazione e vigilanza.” (L’Ostetrica Informa)
Gli ormoni in gioco
Come dicevo, il bisogno di attaccamento post partum è un bisogno fisiologico, reso necessario dalla cascata ormonale che si attiva subito dopo il parto. Vediamo quali ormoni entrano in gioco in questa delicata fase.
Ossitocina
Chiamata anche “ormone dell’amore”, raggiunge le concentrazioni più alte nel sangue materno dopo 30 minuti dalla nascita, quando gli sguardi di mamma e bimbo finalmente si incrociano. Il picco ossitocinico favorisce il secondamento, la riduzione delle perdite ematiche, l’avviamento dell’allattamento, aumenta la temperatura corporea per tenere caldo il bambino, induce al comportamento materno, favorisce l’innamoramento tra la mamma, il neonato e il papà.
Questo primo momento di incrocio di sguardi, non dovrebbe per tanto essere mai disturbato dopo la nascita.
Rimandiamo a dopo il lavaggio, la misurazione, la pesata e tutto quanto può comprensibilmente distrarre la mamma dal guardare negli occhi il suo bambino.
Adrenalina materna
Fa in modo che la mamma si senta energica e attenta ai segnali che manda il neonato. Mantiene in memoria in modo indelebile il parto.
Adrenalina fetale
Stimola l’imprinting del bambino e il bonding delle prime due ore a un livello biologico molto profondo che non si ripeterà mai più. Al bimbo rimangono impressi in modo permanente tutti gli stimoli che riceve attraverso i suoi canali sensoriali nella sua mente e nel suo corpo.
Endorfine
Permettono di ricordare il parto come un evento piacevole e creano la voglia di ripetere l’esperienza, favorisce il legame.
Prolattina
Agisce sulla produzione del latte e sui comportamenti materni di nidificazione e di accudimento. Stimola l’istinto di protezione anche attraverso l’aggressività. Viene secreta maggiormente la notte.
Il nuovo legame
Ho trovato molto interessante un articolo sul bonding del Dott. Alessandro Volta, che pubblico di seguito per sua gentile concessione.
Il Dott. Alessandro Volta è pediatra, padre di tre figli, autore di libri (Apgar 12 e Nascere Genitori) e responsabile del Servizio Salute Donna e Infanzia del Distretto di Montecchio Emilia (RE).
Come molte parole della lingua inglese, anche questa ha il dono della sintesi. In una parolina così breve sono racchiusi significati molto importanti per ogni adulto che diventa genitore e per ogni neonato che viene al mondo. Si tratta di un termine moderno, ma il suo significato ha già alcune migliaia di anni di evoluzione; senza il bonding forse la razza umana non sarebbe stata possibile. Ciononostante pochi conoscono e usano questa parola; anche tra coloro che per professione contribuiscono a far nascere bambini, questo termine è poco noto o non viene considerato importante per il loro lavoro.
Dicevamo che è una parola moderna, ma ha già compiuto vent’anni (anche se pochi se ne sono accorti): è nata negli Stati Uniti nel 1982. In inglese “bond” significa attaccare, vincolare, incollare, cementare; il bonding è infatti il processo di formazione del legame tra i genitori e il loro bambino.
È questo legame profondo, specifico, permanente (fisico e psicologico insieme), che permette di allattare, di cullare, di giocare col proprio bambino, ma anche di proteggerlo, di non trascurarlo, di non abbandonarlo. Il bonding permette di far emergere nei genitori istinti nascosti utilizzando il loro “periodo sensibile” viene così favorita quella grande sensibilità comunicativa necessaria ad attivare risposte efficaci alle diverse necessità del bambino.
Gli effetti a breve e a lungo termine di un bonding adeguato sono stati studiati da diversi gruppi di ricerca che hanno misurato la qualità del rapporto madre-bambino nei primi mesi dopo la nascita e hanno valutato, nell’età successiva, le caratteristiche comportamentali e relazionali di quelle coppie.
Come tutti i processi umani, anche il bonding è un processo complesso e articolato, ricco di variabili (condizionato dall’ambiente, dalle caratteristiche dei genitori, dal tipo di parto, dallo stato di salute della mamma o del bambino, ecc.). È stato però valutato come sia possibile favorire il bonding e come invece questo può essere ostacolato o reso più difficile.
Il mezzo più semplice ed efficace per creare un legame stabile e positivo tra i genitori e il bambino è risultato quello di mettere il neonato ancora nudo nelle braccia della mamma in contatto pelle-pelle nelle due ore successive al parto, senza attuare nessuna separazione se il loro stato di salute lo permette. Qualcuno potrebbe domandarsi se non sia sufficiente che la mamma prenda in braccio il suo bambino più tardi, dopo che è stato lavato, pulito e vestito. La risposta è da cercare nella magia e nel mistero dei primi minuti di vita.
Subito dopo la nascita il bambino inizia a sedurre la mamma e la mamma inizia ad innamorarsi del suo bambino; non il bambino immaginato durante la gravidanza, ma quello reale che la mamma vede per la prima volta, che annusa e che tocca per la prima volta. Prendere in braccio un bambino pulito, profumato e vestito è un po’ come prendere in braccio un bambolotto o un bambino qualunque. Il neonato non ancora lavato, nel contatto pelle-pelle con la mamma, innesca una relazione potente e intima, che permette ad entrambi di sentire l’odore e il calore l’uno dell’altro.
La madre, senza esserne consapevole, deve elaborare il lutto di trovarsi improvvisamente con la pancia vuota, il neonato deve ritrovare l’utero che l’ha nutrito e protetto fino a quel momento.
Nel corso della gravidanza la madre, attraverso i movimenti fetali, percepisce il bambino come una parte di sé; dopo il parto deve cominciare ad accettarlo come individuo separato da lei. È probabile che la percezione che la madre ha del suo bambino nei primi minuti di vita possa condizionare il loro rapporto per gli anni successivi o addirittura per il resto della vita; effettivamente molte donne già anziane ricordano e raccontano il loro parto come se fosse avvenuto da poche ore.
La nascita è qualcosa che forse accade troppo velocemente, occorre pertanto, nei minuti successivi, tentare di riappropriarsi di un tempo normale, e il contatto pelle-pelle è in grado di favorire il recupero del giusto ritmo; dopo la tempesta giunge il sereno, così mamma e neonato possono cominciare a ragionare…
Cercando di vedere il parto con gli occhi del neonato è intuitivo che, dopo l’avvio della respirazione autonoma, egli cerchi di ritornare allo stato rassicurante che ha preceduto la nascita; egli ricerca cioè quello che è stato definito “abbraccio pulsante” dell’utero. Il contatto pelle-pelle è il mezzo privilegiato per ritrovare quell’abbraccio perso improvvisamente.
Dopo la nascita il neonato è sconvolto dal freddo, dalla luce e dai rumori, ma in particolare dal vuoto; avendo vissuto fino a quel momento in acqua, per la prima volta sperimenta la forza di gravità ed è terrorizzato dalla sensazione di precipitare; la pancia calda della mamma è il suo nido naturale, è lo spazio che lui stesso ha lasciato libero e che ora può a buon diritto rioccupare.
È stato dimostrato che se nella prima ora dopo il parto il neonato viene tenuto a contatto pelle-pelle con la mamma la conoscenza di entrambi sarà facilitata, la mamma sarà tanto gratificata da percepire in misura minore stanchezza e dolore, il neonato sarà così tranquillo da aprire gli occhi e cercare il seno.
Nei primi 60-90 minuti dopo la nascita il neonato si trova infatti nello stato di veglia tranquilla durante il quale può aprire gli occhi, guardare (e conoscere) i genitori, ascoltare la loro voce, cercare (da solo) il seno della mamma, sentirsi rassicurato. In questa fase il neonato è molto attento e riesce a percepire ciò che lo circonda; è in questo momento che ha il suo primo contatto col mondo (e spesso la prima impressione è quella che conta…); bisognerebbe evitare che queste prime percezioni avvenissero attraverso persone estranee, in luoghi diversi dal corpo della mamma (dalla sua voce e dal suo odore).
Dopo circa due ore dal parto il neonato passa in uno stadio di sonnolenza o di vero e proprio sonno, recupera le forze e la sua percezione del mondo si riduce fin quasi ad annullarsi: questo è il momento per portarlo al nido e sottoporlo alle routine assistenziali senza temere di disturbarlo troppo (ormai il miracolo del bonding è iniziato e nulla può fermarlo).
Le ricerche sugli stati comportamentali del neonato hanno evidenziato che nella prima settimana di vita la fase di veglia tranquilla è molto breve, circa due ore al giorno, pertanto perdere questo momento privilegiato subito dopo il parto, significa rimandare di almeno ventiquattro ore la possibilità di far conoscere al neonato noi stessi e il mondo.
In queste prime due ore i genitori vivono un loro speciale “periodo sensibile” e senza esserne completamente consapevoli fanno conoscenza con il loro bambino reale, dimenticando quello immaginato e forse anche temuto. Rimandare questo momento significa lasciare i genitori emotivamente sospesi, rischiando di produrre in loro inutili insicurezze e paure inconsce. Ricordiamoci inoltre che per il papà il “suo parto” si realizza quando può (finalmente) avere il figlio in braccio, vederlo negli occhi e convincersi di essere a sua volta visto e ri-conosciuto. Quando si attende la fuoriuscita della placenta o quando occorre dare qualche punto di sutura alla mamma, quando tutti sono ancora indaffarati e soltanto il neonato e il papà sono liberi da impegni, perché non sfruttare la situazione per fare conoscenza?
Nei primi minuti di vita l’unica necessità per un neonato sano è di essere asciugato e avvolto in un telino tiepido, ogni altra routine oltre a non essere utile è di ostacolo al bonding e pertanto dovrebbe essere rimandata. Lasciando in intimità genitori e bambino, quest’ultimo generalmente smette di piangere a pochi secondi dalla nascita e si tranquillizza con grande velocità, viceversa i neonati separati dalla mamma subito dopo il parto piangono più a lungo e si tranquillizzano con difficoltà.
Esistono situazioni nelle quali un immediato contatto pelle-pelle non è possibile per problemi di salute della madre o del neonato (prematuro o con difficoltà respiratoria). In questi casi occorrerà recuperare successivamente il momento del contatto madre-bambino utilizzando ogni strumento utile a favorire il recupero di una relazione profonda e intima; anche in questi casi particolari le azioni più efficaci rimangono l’allattamento al seno, il contatto pelle-pelle, il massaggio, il tenere e il portare in braccio.
Favorire il bonding ogni volta che questo sia possibile aiuta a vivere i giorni e le settimane successive al parto in maniera un po’ più semplice e naturale, e il passaggio tra l’utero e il mondo sarà vissuto da entrambi in maniera meno violenta e complicata. Ad eccezione del neonato e dei suoi genitori nessun altro adulto è in grado di partecipare fisicamente ed emotivamente alla relazione che si crea con il loro contatto intimo, e chi ha il compito di fornire assistenza durante il parto dovrebbe fare attenzione a non ostacolare questo delicato momento.
Se abbiamo scoperto che la parola bonding è tanto importante e tanto ricca di significati, potremmo cominciare a considerarla come facciamo con la parola respirazione o la parola alimentazione e chiederci ogni tanto: come va oggi il bonding di questo bambino?
L’inizio del dialogo tra il neonato e la mamma dovrebbe avvenire come se in quel momento al mondo ci fossero soltanto loro, o come se in quel momento loro fossero il mondo.
Siti
Anep Italia Blog
Birthworks International
L’Ostetrica informa
Nascere Genitori
Primal Health Research Databank
Vocidibimbi
Bibliografia
A. Volta, Nascere Genitori, Urra, 2008
Gabriella Ferrari, La comunicazione e il dialogo prenatale, Ed. Mediterranee
Jeno Raffai, Analisi del bonding prenatale madre-bambino, Atti del Congresso “9 mesi e un giorno”.
Jeno Raffai, Analisi prenatale del legame madre-bambino, Atti del Congresso “Impatto della vita prenatale sull’evoluzione dell’individuo, della cultura e della società”.
Vito Torraco dice
Ciao Silvia,
per vie traverse sono arrivato al tuo blog e all’articolo che parla di bonding. Sulla lista genitoriconsapevoli legata al sito, abbiamo un po’ di volte affrontato l’argomento e la conclusione è che, in effetti, come dici tu, il tempo per ricucire c’è. L’importante è essere consapevoli di quello che si è, purtroppo, perso e cercare di recuperare, riparare, rimettere a posto il perduto. A tal proposito io stesso ho usato l’espressione: " Anna Venturini docet. Anna è la mamma che si occupa della lista senzapannolino e che ha diffuso in rete la sua storia intitolandola: Nina e Anna, nella quale narra di come, la lunga separazione dalla piccola Nina, cui è stata costretta dopo il parto è stata recuperata con una canguroterapia che ha lasciato strabiliati anche i dottori dell’ospedale.
Ma a proposito del tuo articolo seguito da quello del dottor Volta voglio regalarti la storia di mia nonna Angela che è morta venerdì sera all’età di 102 anni.
Quando mia moglie era in attesa di nostro figlio siamo andati a trovarla, 4 anni fa, e parlando ci siamo fatti raccontare la nascita di mio padre che è il primogenito vivente. Ci ha detto che il parto è avvenuto ovviamente in casa ( 81 anni fa ) con l’assistenza della levatrice la quale, subito dopo la nascita, ha appoggiato il bambino sul petto. Io le ho chiesto come mai e lei, senza esitare, mi ha risposto: "per far nascere l‘affezionamento."
Ecco, puoi dire al dr. Volta che la parola "bonding" ha 20 anni circa ma prima, dalle mie parti ( Bernalda MT ), più di 80 anni fa si chiamava "affezionamento".
La pratica è antica come il mondo, ma è stata messa in disuso da quella che tu sai benissimo chiamarsi: "industrializazione del parto", giusto per citare Odent che è una lettura che ci accomuna.
A parte tutte queste, forse, inutili chiacchiere volevo chiederti il permesso di pubblicare il tuo articolo sul nostro sito o, se vuoi, puoi farlo personalmente.
Ti segnalo inoltre la presenza sul nostro sito di un fondamentale articolo di J. Prescott che apre scenari scientifici finora sconosciuti ai più in Italia, parlando dell’importanza dell’attaccamento e riferendosi ad una sindrome ben precisa che è la sindrome da deprivazione affettiva.
Mi dispiace molto leggere troppo spesso in rete commenti che sembrano limitare determinate scelte solo alla sfera del sentire personale, o delle proprie attitudini o come scelte "filosofiche".
E’ bella la frase del dr. Volta che indica come in un futuro prossimo si potrà parlare di un bonding fatto a dovere come di una componente essenziale per la Salute con la S maiuscola di mamma e bambino. Io auspico, in un prossimo futuro, che si parli dell’allattamento al seno in termini di prevenzione sociale, per: la diminuzione dell’uso di sostanze tossiche, di violenza e di suicidio giovanile. E’ forse sperare troppo? Può darsi, ma dobbiamo sforzarci di fare il possibile per diffondere il più che possiamo la cultura di un autentico rispetto dell’infanzia che cominci dal concepimento.
Ti saluto e, ovviamente, sei libera di pubblicare questa mia sul tuo blog qualora lo ritenessi opportuno.
Vito R. Torraco
Serena dice
Cara Silvia, che bello leggere questo tuo post e scoprire che il mio parto, avvenuto un mese fa, ha seguito tutte queste raccomandazioni. In effetti il legame con il mio piccolo si è instaurato subito, e mi vengono ancora le lacrime a ripensarci. I dettagli li ho descritti nel mio blog, Racconto di un parto (il mio), e comprendono contatto pelle a pelle, sguardi, intimità e tutto quello che descrivi in questo bellissimo post. Grazie per aver dato una descrizione scientifica alla mia esperienza di vita 🙂
Chiara dice
Ti porto la mia testimonianza per il secondo parto (col primo nessun problema a tenere la bambina con me da subito, perché era nata nell’orario di rooming in).
Ettore è nato alle 2.35, me l’hanno fatto tenere pochissimo in braccio perché stavo secondando e non era il caso di farlo nella stanza dove avevo partorito (non sono arrivata in sala parto, causa spinta di espulsione improvvisa e imprevista). L’ho visto per qualche minuto, dopo essere stata ricucita. Poi io sono stata trasferita in reparto e lui al nido. Di attaccarlo al seno manco a parlarne.
Sapevo del bonding (per letture mie, non certo per il corso preparto), ma non ho protestato. In parte perché lì dentro dovevo passare 2-3 giorni e non volevo subito passare per la rompiballe, in parte perché l’idea di "riposarmi" un po’ dopo il parto e non attaccare subito con l’incubo dell’allattamento non mi dispiaceva poi così tanto. Puro egoismo, insomma.
In effetti di Ettore mi sono innamorata più lentamente, ma a 15 mesi di distanza non mi sembra di notare cicatrici nel nostro rapporto. O forse quel distacco ha fatto bene a me (sempre egoismo), perché ho avuto il tempo di "perdonarlo" per la gravidanza dolorosa che mi aveva inflitto.
So di certo che, se non avessi avuto l’imposizione sociale e medica di almeno provare ad allattare, probabilmente mi sarei goduta di più la vicinanza dei miei neonati, invece di temerli come strumenti di tortura. Ma questa è tutta un’altra storia rispetto al bonding. O forse no?
Silvia dice
Va bene, davanti a un caffè. 😉
LGO dice
Per la totale, è una lunga storia, a cui non mi sento di dare troppa pubblicità. Se un giorno ci incontreremo, magari…
Silvia dice
Come mai la totale anche 4 anni fa?
Comunque è vero, fino a qualche anno fa le cesarizzate erano malate.
Anche mia madre ha dovuto minacciare tutto il personale per farsi portare in neonatologia in sedia a rotelle. :-S
LGO dice
I miei figli sono nati tutti nello stesso grande ospedale con un cesareo in anestesia totale. Nell’arco dei sei anni che separano la maggiore dal minore sono cambiate tantissime cose. La grande, non volevano che l’allattassi: non me la potevano portare e sostenevano che prima di tre giorni non mi avrebbero tolto flebo o altro e non dovevo muovermi. Ovviamente ho protestato tantissimo, ma mio marito ha dovuto dichiarare che si assumeva lui la responsabilità di portarmi in sedia a rotelle in neonatologia, con la flebo e tutto, e comunque il primo giorno non l’ho potuta vedere. Il primo biberon gliel’ha dato lui. Per lui, un’esperienza fantastica. Per me, un po’ meno.
Il piccolo è nato quasi quattro anni fa. Nonostante l’anestesia totale, mentre mi risvegliavo me lo sono trovata già sulla pancia, e mi hanno aiutato ad attaccarlo subito. Sono tornata a casa dopo due giorni.
Le cose cambiano, piano ma cambiano 🙂
Flavia dice
mi fa piacere averti dato lo spunto per un post così bello 🙂
Ari@nna dice
Sempre molto interessanti i tuoi post! Li leggo con piacere ed interesse.
Mondopapy dice
Ciaoooooooo!!!!!!!!
Ho visto che anche Matteo ha tolto le rotelle…che traguardiiiiii!!!!!!!!
Ti abbraccio tanto Silvia!!!! Mamma specialissima!
franz dice
Oddio Silvia, leggendo l’articolo mi sono messa a piangere! Fortuna che in negozio non c’è nessuno!! Ho rivissuto quelle due ore dopo il parto noi tre, finalmente assieme. Ho rivisto Davide sulla mia pancia con quel nasino ancora pieno di puntini bianchi e le unghiette così piccole…le guardavo senza ancora realizzare quanto fortuinati eravamo as avere avuto un esserino così perfetto! 4 kg di amore!
E ora, leggendoti, mi rendo conto di aver dato per scontato che quelle due andassero vissute così. In realtà è solo la fortuna di avere partotito in un ospedale che dà moltissima importanza al bonding e al rooming in…
laura.ddd dice
la tua foto è bellissima; ho avuto anch’io la fortuna di poter vivere quel momento con entrambi i miei bimbi. Ogni volta che riguardiamo quelle foto rivivo le molte emozioni di quel momento.
Renata dice
Davvero interessanti i tui articoli. I miei bimbi sono nati entrambi all’ospedale Niguarda a Milano. Al corso preparto dello stesso ospedale, la psicologa aveva dato ottimi consigli, avevo letto "Per una nascita senza violenza" di Leboyer… diciamo che sono rimasti solo consigli. A dire il vero con il primo figlio sono stata io a non volere vedere subito il bambino, ho chiesto che venisse prima pulito; con il secondo c’era l’ospedale in sobbuglio e l’infermiera mi ha risposto in malo modo quando ho chiesto che mi venisse lasciato qualche attimo in più: ho rivisto Luca quasi 12 ore più tardi, troppe. Non critico le scelte dell’ospedale, in cui tra l’altro mi sono trovata bene, però siamo ancora lontani dal dare importanza ai primi momenti.
Donatella dice
P.S. sei bellissima nella foto del post partum!
Donatella dice
Brava Silvia, sempre chiara e precisa, sono sempre più contenta di essere capitata in questo blog!
Al corso preparto ci avevano parlato dell’importanza del contatto con il neonato nelle prime 2 ore dopo il parto, ma non avevavo menzionato il termine bonding…
Comunque quando mi hanno appoggiato Matteo sulla pancia, ancora attaccati dal cordone ombelicale… non so per quanto me l’abbiano lasciato lì, probabilmente pochi minuti, tanto è bastato per farmi innamorare di lui, completamente, perdutamente, follemente!
Un bella sorpresa per una che non ha mai avuto un gran desiderio di maternità e che in gravidanza aveva seri dubbi sul suo futuro sentimentale da mamma… (su quello pratico sono perenni!!)
Matteo me l’ha riportato poco dopo il suo papà che nel frattempo lo aveva trasportato come se avesse nitroglicerina fra le mani, anche lui in balia dell’esserino appena nato.
Quindi il mio è stata una specie di bonding-ping-pong… per fortuna leggo che abbiamo mille risorse
E visto come si è addormentato oggi il mio Mr Gengiva, accoccolato addosso alla sua mamma, mi auguro che in quel momento magico in cui ci siamo visti per la prima volta si sia innamorato un po’ anche lui…
…di me, non dell’ostetrica che l’ha aiutato a nascere!!