Domanda
Buongiorno dottoressa,
le scrivo in merito ad un comportamento ripetuto di mio figlio: è continuamente dispettoso, con tutti, indistintamente.
Ha cominciato l’anno scorso all’ultimo anno dell’asilo perché aveva delle difficoltà di relazione: aveva legato con due bimbi che non avevano un gran rispetto né delle regole né dell’autorità e lo spingevano a comportarsi male se voleva che lo facessero giocare.
Lui che invece era consapevole dell’importanza delle regole si trovava imprigionato fra l’essere accettato dai compagni o essere sgridato dalla maestra e poi dalla mamma.
Quest’anno l’ingresso alla scuola elementare ha portato dei grandi benefici e una situazione scolastica più serena.
Contestualmente in famiglia abbiamo vissuto anni di forte crisi che sfoceranno a breve in una separazione.
Il comportamento di mio marito è talvolta verbalmente aggressivo e tenuto spesso in presenza del bimbo.
Io ho lottato per anni per tenere tranquillo il mio bambino e con la collaborazione delle insegnanti posso dire di esserci in buona parte riuscita facendo da cuscinetto in ogni situazione.
Ho colloqui frequenti con gli insegnanti a cui chiedo spesso di informarmi se trovano il mio bimbo particolarmente agitato o dia altri segni di disagio e per ora mi hanno sempre tranquillizzato.
L’unica cosa che continua a persistere seppure migliorata è questo continuo far dispetti: togliere il gioco al cane o dargli noia mentre dorme, togliere e tirare i calzini al babbo, stuzzicare i compagni di gioco o la mamma.
Penso possa essere una richiesta di attenzione ma come faccio a fargli capire che non è questo il modo e che così facendo ottiene solo reazioni negative?
Grazie per la sua attenzione e per la risposta che vorrà donarmi.
Risposta
Cara mamma,
grazie a te per la storia che vuoi condividere.
Il tema che presenti non è semplice, per il fatto che “essere dispettosi” è un comportamento “di confine”, così come lo descrivi in tuo figlio, che nella nostra cultura sta a metà tra il divertente ed il fastidioso.
Il fatto è che costituisce sempre un problema, anche quando quello che ottiene chi la mette in pratica è un simpatico sorriso, o l’approvazione “del gruppo” attraverso una specie di “legge del più forte”.
Alla base del dispetto, infatti, c’è una forma di aggressività: vorrei che questa parola non ti spaventasse, dal momento che l’aggressività, come ho più volte sottolineato, è un vissuto vitale, presente sin dall’origine della vita, senza la quale la vita stessa non procederebbe. L’aggressività è infatti energia, movimento, capacità di destrutturare-per-assimilare (come si farebbe con un cibo, masticato e poi digerito).
Tutti noi siamo aggressivi, ma ciascuno di noi ha un modo diverso di esprimerlo, sui cui ovviamente su riflette il pensiero familiare, culturale, sociale.
Se ho capito bene, il vostro problema è far capire a tuo figlio come trovare un modo costruttivo di essere aggressivo, nel rispetto degli altri (che è poi quello che fnon sanno fare i compagni dell’asilo quando indirizzano la loro aggressività contro gli altri bambini).
E’ molto bello il modo in cui ti interroghi su questi temi, senza porre la questione esclusivamente sul piano della disciplina. Mostra il tuo desiderio di comprendere tuo figlio, la tua empatia, la volontà di andare a fondo nelle cose.
Anche questa è una forza “aggressiva“, nel suo senso etimologico: ad-gredior, infatti, significa anche “andare verso l’altro“.
Acquisita una tua consapevolezza corporea su questo aspetto della vita di relazione, sarà (almeno in parte) più semplice poterlo insegnare a tuo figlio.
Cosa c’è sotto al dispetto, così come lo abbiamo qui sopra inteso?
C’è sempre un’emozione sottesa al comportamento aggressivo: che sia rabbia, desiderio, bisogno, curiosità, interesse. Il nostro corpo interpreta queste emozioni come una tensione-verso-qualcosa: se ci fai caso, è come cominciare a sentire fame, e percepire il corpo che vuole muoversi alla ricerca di cibo (l’attenzione si distoglie da ciò fai, le mani si muovono, le gambe sentono l’energia per andare verso la cucina, etc.).
Nei bambini questa tensione è avvertita in modo chiaro, anche se inconsapevole, dal momento che non sanno attribuire significati cognitivi o sociali alla loro percezione. Ma è un passo che, senza troppe logiche spiegazioni, possono apprendere in un lavoro sulla consapevolezza corporea: cominciare a dare voce a quello che si sente (data l’età di tuo figlio) è già un buon passo.
A questo unisco qualche riga sulla comprensione dell’empatia.
Mi dici che tuo figlio è alla scuola elementare, deduco che è già possibile per lui comprendere i nessi di causa ed effetto delle proprie azioni, e le conseguenze spiacevoli che essere possono avere sugli altri, sulle cose, sugli animali.
Il principio secondo cui tuo figlio si “arroga il diritto di prevalere“, infatti, si basa sul fatto che lui si sente diverso: non saprei dirti se migliore, ma certamente più meritevole in alcuni momenti (le motivazioni poi andrebbero comprese in un’osservazione delle dinamiche relazionali , e non posso essere più chiara attraverso una mail).
Questo comportamento è certamente appreso, dedotto, all’interno delle relazioni che ha vissuto fino ad ora: essendosi costruito l’idea che le sue marachelle sono divertenti, e che non arrecano danno alla relazione (non la distruggono, ovvero continuerà ad essere amato dai suoi genitori, tollerato in classe, e così via), gli danno potere e possibilità di prevalere sull’altro senza considerare il suo punto di vista.
Per quanto riguarda i compagni, è necessario che le maestre svolgano il loro compito e formulino un lavoro specifico su questi aspetti, a meno di non colludere con questo atteggiamento e consentire che “il malinteso” in cui tuo figlio cresce, convinto che il dispetto sia solo divertente, venga perpetuato.
L’empatia ed il rispetto degli altri sono dei temi che vanno affrontati in classe, e quando questo non viene fatto è per lo più per paura, impreparazione o incapacità di formulare un progetto specifico. Proprio per questo esistono dei professionisti che si occupano in modo particolare di questi temi.
Chiedere l’intervento di uno psicologo scolastico, quando si riconosce che (senza alcuna colpa) non ci sono le conoscenze o le capacità di progettare un intervento specifico, è la cosa migliore. E’ un intervento mirato, a breve termine, che coinvolge il gruppo classe per un numero limitato di incontri, e giova a ciascun partecipante al progetto, inclusi gli insegnanti.
Possiamo considerarlo un intervento preventivo, dal momento che nel sistema scolastico italiano, ahimè, ci si muove solo quando le condizioni sono gravi o allarmanti (e non è questo il caso).
Per le dinamiche familiari, invece, è compito dei genitori: potete cominciare a verbalizzare tutte le conseguenze che sul piano emotivo il comportamento di tuo figlio ha nei vostri confronti, e nei confronti degli altri (inclusi i dispetti sul cane).
Lavorate sul rispetto e sui sentimenti dell’altro, ma tenete anche presente che il bambino quasi sempre si esprime per capacità emulativa: il modo di esprimere le emozioni, quali sono approvate o disapprovate, lo si apprende in famiglia, dall’osservazione, e poi a scuola.
Evitate di farlo assistere a comportamenti poco rispettosi nella vostra relazione coniugale, ma quando questo avviene (dal momento che siamo esseri umani), non esitate a riconoscere i vostri errori, e a spiegare il vostro comportamento (non interini di portare acqua al proprio mulino, ma di ammettere che poteva esistere un comportamento alternativo).
Potete, se lo ritenete necessario, chiedere l’aiuto di uno psicologo che vi suggerisca come lavorare specificamente su questi aspetti della comunicazione: non conosco i termini della questione, non so che livelli di conflittualità ha la vostra relazione, ma potrebbe esservi utile affrontarla da questo punto di vista, sostenendo vostro figlio.
Infine, esistono numerosi libri sull’empatia, sul rispetto nelle relazioni, che puoi facilmente reperire in rete o in una libreria ben fornita. Potrebbero essere uno spunto simpatico, sia per te che per tuo figlio.
E’ vero che il comportamento dispettoso sottende spesso una richiesta di attenzione, ma è bene in questo caso lavorare anche sul modo di esprimere il propri bisogni in modo opportuno. Riguardo al dargli attenzione, sono certa che saprai indovinare in quali aspetti tuo figlio non si sente “visto”, forse proprio nel suo bisogno di trovare il modo migliore di esprimersi.
Spero che le mie parole ti abbiamo aiutato a comprendere la situazione, e a suggerirti quali possibili strategie utilizzare, e a quali figure poter chiedere aiuto.
Ti faccio i miei migliori auguri.
laura dice
Bell’ articolo. Interessante sapere come dietro un atteggiamento in realta’ ci sia un bisogno che ha solo bisogno di un nuovo indirizzamento.
Ho una situazione simile col mio bimbo piu’ grande (7 anni) nei confronti delle sue sorelle gemelle di 4. Forse nel nostro caso dietro i continui dispetti, cerca attenzione. Prima era il centro di tutto, poi ha dovuto in un certo senso cedere il posto alle sorelle.
Ed ora la loro relazione e’ x lo piu’ di contrasto…o, se inizia con le buone intenzioni d gioco, prima o poi finisce in litigio.