Domanda
Dott.ssa Agnone,
sono la mamma di Giuseppe di 3 anni e mezzo.
Sono un po preoccupata perché mio figlio ultimamente ha cambiato il suo approccio con la scuola, che è stato sempre positivo (è nella stessa scuola da quando aveva 18 mesi) fino ad un mese fa, quando all’improvviso una mattina ha iniziato a piangere disperatamente.
Ho iniziato a fargli delle domande sul perché non voleva più andare a scuola e lui mi risponde che tutti i bimbi sono brutti, non vuole andare in bagno con l’assistente e tutti gli fanno la vergogna perché ha il ciuccio (cosa non vera perché lui lo ripone nello zainetto prima di entrare in classe).
La cosa mi preoccupa perché si sveglia e nel sonno mi dice ” i bimbi sono brutti la maestra e brutta” Vorrei capire come comportarmi.
Ho smesso di assillarlo per allontanare il ciuccio ed ho chiesto ai familiari che stanno attorno a mio figlio di non dirgli “non ti capisco” visto che ancora impasta un po il linguaggio a casa del ciuccio .
Spero che mi possiate essere d’aiuto.
Risposta
Cara mamma,
piacerebbe anche a me poter esserti d’aiuto, ma mi risulta un po’ difficile farlo a distanza e con così pochi elementi a disposizione.
Mi soffermerò con te a riflettere sulla normale evoluzione del rapporto tra i bambini e la scuola.
E’ normale che i bambini crescendo abbiano un approccio diverso alla frequentazione scolastica, se non altro per il fatto che diventano più consapevoli, e quindi comprendono, hanno aspettative su quel che è per loro “andare a scuola”.
Anche se tuo figlio ha frequentato un nido da piccolo, adesso si sta inserendo in un contesto sociale diverso, meno familiare, più strutturato. Anche le attività dovrebbero, in teoria, essere diverse. Sicuramente lui di tutti questi cambiamenti si è accorto.
Ipotizziamo quindi che per lui sia un momento particolarmente impegnativo, delicato, che, dopo il primo approccio (solitamente positivo per molti bambini perché attratti dalla novità), lascia emergere la sua fatica e la sua rabbia.
Inutile chiedere “perché” ai bambini così piccoli: non sono in grado di rispondere. E’ una domanda che noi adulti facciamo spesso, ma è fuorviante.
Buono invece il tuo tentativo di capire le cause del suo comportamento.
Tieni presente, tuttavia, che è solo col tempo che i bambini assimilano “la fatica” di adattarsi ad un cambiamento che per loro è grande e significativo.
Fino ad allora, il tentativo di esprimere la rabbia, la frustrazione, la stanchezza, la ribellione nei confronti di noi genitori, che chiediamo loro di andare a scuola (e possibilmente anche di farlo sorridendo!) è del tutto normale e legittima.
Quanto siamo disposti, noi, ad accogliere la loro rabbia come espressione della loro fatica? Quanto siamo in grado di farli sentire accolti, legittimati, compresi, e a sostenerli per superare il loro disagio?
O forse la rabbia non tocca le nostre corde più profonde, facendoci spaventare o preoccupare?
Tuo figlio ha già esperienza di essere lasciato a scuola, ma probabilmente soltanto adesso comincia a comprendere la differenza tra le relazioni familiari, per così dire “a suo favore”, e quelle con i coetanei, che sono certamente più complesse e che non lo vedono sempre “vincitore” di ogni controversia.
E’ naturale, infatti, che i bambini più piccoli privilegino il rapporto con l’adulto, e che solo dopo i tre anni cominci a crescere l’importanza delle relazioni tra pari.
E’ una palestra dura per ogni bambino, ma importante per la formazione della sua personalità: l’interazione tra bimbi, infatti, ha delle regole proprie, molto diverse da quelle con gli adulti, e adeguarsi e adattarsi (ognuno a suo modo) è una palestra fondamentale per il resto della vita.
Non sono in grado di confermare i tuoi timori, rispetto a qualche “trauma” avvenuto a scuola, qualcosa che lo ha spaventato, o che lo porta a svegliarsi di notte in preda allo spavento.
E’ anche probabile, tuttavia, che non sia “un evento”, ma semplicemente un fattore legato all’età e all’insorgenza delle prime paure, dei primi incubi, anche questi segno di una maturazione fisiologica che lo porta a distinguere cose belle e brutte, cose vecchie e sicure da quelle preoccupanti anche solo perché nuove e sconosciute.
Percepisco la tua preoccupazione, e ti invito ad essere serena, ma anche decisa nei suoi confronti: è importante che il bambino capisca la differenza tra i due ambienti, familiare e scolastico, quali vantaggi e svantaggi entrambi hanno per lui, quali risorse può attivare nell’uno e nell’altro contesto.
Non farti sconfortare da crisi di pianto che possono solo essere l’espressione di un disagio che necessariamente deve attraversare prima di adattarsi alla nuova situazione. Questo non è un invito, tuttavia, a “lasciarlo solo” senza che lui percepisca le tue premure (testimoniate anche dalla tua richiesta di aiuto nei miei confronti).
So che il mio discorso è relativamente generico, dal momento che mi attengo alle poche informazioni a mia disposizione e non posso avvalermi di un’osservazione diretta, ma ti invito a parlare e collaborare fortemente con le insegnanti: solo loro possono essere osservatrici attente anche in tua assenza, e solo con loro puoi trovare una linea di condotta coerente che possa fare percepire al piccolo che, anche se in modo diverso, in entrambi i momenti della giornata (a casa e a scuola) c’è qualcuno che, pur nelle proprie specificità, si prende cura di lui.
E’ importante che questo messaggio per lui sia chiaro, e che abbia il sostegno per raggiungere la serenità che lo porterà a varcare la soglia della scuola impaziente di correre a giocare, con i suoi nuovi amici.
Sii fiduciosa, e vedrai che anche Giuseppe lo sarà presto: cerca di stabilire una buona alleanza (fidandoti tu per prima, e magari comunicando le tue preoccupazioni) con chi si prende cura di tuoi figlio mentre tu non ci sei, e vedrai che saprai trasmettere la positività e la cura che arriva a me, e che hai nei suoi confronti.
Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti, e ti faccio i miei migliori auguri.
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