Per la sezione Scritto da te, volentieri ospito Martina Fuga, perché quello che racconta e argomenta è qualcosa che va detto. E nessuno più di lei può farlo.
Sono una mamma speciale, speciale perché come si dice altrove mia figlia ha special needs. Io preferisco dire che sono una mamma imperfetta, se Silvia mi presta l’aggettivo, e non solo perché ho una figlia con la sindrome di down. Nel termine “speciale” non mi ritrovo: mi da un tono che non mi attribuisco e che non voglio, lo stesso tono che mi sento appiccicare addosso quando da fuori lo sguardo degli altri mi porge ammirazione solo perché non mi piango addosso o mi porge un mal celato “grazie a dio è capitato a te!”.
Ci sono giorni in cui anche io ringrazio che sia capitato a me, e oggi è uno di quei giorni. La notizia del giorno riguarda una famiglia che fa causa a un ospedale perché la figlia è nata con la sindrome di down. Le circostanze non sono chiare, o perlomeno non mi convince il racconto che propone il giornalista, ma pare che l’ospedale non abbia informato a dovere la donna sulla condizione genetica della figlia e che a questo si appelli la famiglia per chiedere un risarcimento milionario, per “la madre finita in un centro di salute mentale”, per la neonata, e pure per i fratelli e per i nonni.
Non ho mai giudicato la scelta di alcuna famiglia che abbia deciso di abortire un figlio con la sindrome, non giudico l’abbandono post-nascita, non ho alcun pregiudizio sulle indagini prenatali invasive per quanto abbia scelto consapevolmente e volontariamente di non sottopormi a esse, e non comincerò a farlo oggi, ma su questa storia mi sento di dover prendere posizione.
Mi fa orrore solo il concetto di risarcimento: devo essere risarcito di cosa? Chi? I genitori? Il bambino con la sindrome? I fratelli e pure i nonni? Forse per molti anche il mondo intero, i compagni di classe, i futuri insegnanti, i vicini che sono costretti a incontrarli in ascensore, il panettiere che deve avere pazienza, il giornalaio burbero da cui mia figlia pretende comunque il saluto. E perché non chiamare in causa chi paga le tasse per poter pagare l’assegno di accompagnamento?
Non credo al fatto che questa famiglia non avesse scelta o che gli sia stato impedito di esercitare una delle due possibili scelte: fare degli esami prenatali invasivi e accertare la sindrome di down, di conseguenza la possibilità di abortire, oppure lasciar la bambina in ospedale dopo la nascita. Diritto che molti genitori esercitano dopo la nascita e che offre un’occasione al neonato, quello di essere adottato da una famiglia che lo sceglie e che lo vuole. Non ci credo perché oggi le indagini prenatali più che essere una possibilità che viene offerta, è la procedura, e se uno vuole sapere con certezza il numero di cromosomi di suo figlio, e l’ospedale si rifiuta o tergiversa puo’ rivolgersi ad un altro ospedale.
Non posso accettare che passi il messaggio che avere un figlio con la sindrome sia causa di un errore medico o che la famiglia abbia diritto a un risarcimento. C’è già una sentenza simile che come una sirena attira l’attenzione di potenziali avvoltoi, casualmente vanta lo stesso avvocato.
Non posso accettare che non sia data alcuna occasione a quella neonata e si sentenzi oggi la sua mancata autonomia, la sua impossibilità a percepire un reddito, la sua impossibilità di apprendere e infine, capolavoro assoluto, la sua difficoltà di relazione interpersonale. Non ha ancora messo piede nel mondo, che già gli neghiamo ogni fiducia, ogni possibilità, ogni occasione di dare il meglio di sé nella vita con i talenti che gli sono stati messi a disposizione.
I precedenti sono pericolosi e creano cultura. In questo caso una cultura che non mi piace e che invaliderebbe il lavoro e l’impegno di associazioni e di famiglie che tutti i giorni lottano verso l’inclusione e la non discriminazione. Una cultura che invaliderebbe la dignità di molti ragazzi con la sindrome che hanno costruito a forza di sacrifici, di battaglie e di sudore della fronte la loro autonomia, hanno conquistato un posto di lavoro, un diploma (a volta anche una laurea), delle relazioni personali soddisfacenti, alcuni una famiglia, una vita serena, semplice e felice.
Il giornalista parla di bambina “nata malformata”? Malformata? Ma si è informato prima di scrivere un articolo che ha per tema la sindrome di down? Parla di bambina “affetta” da sindrome di down, quando la sindrome non è una malattia, come se si potesse guarire (sic!), ma una condizione genetica. L’avvocato ha svolto uno studio approfondito, dice il giornalista. Ma nelle sue interviste ho sentito solo una serie d’inesattezze, non parlo dal punto di vista giuridico, ma dal punto di vista medico, sociale, psicologico, neurospichiatrico. Parla di persone malformate, infelici, che non hanno alcuna autonomia, che non sono in grado di lavorare, che non potranno mai vivere da soli, parla di persone che non hanno relazioni affettive corrisposte. Ne ha davvero conosciuto uno?
Non voglio negare la difficoltà che la sindrome di down porta con sé, sia chiaro, lotto tutti i giorni come madre con il senso di colpa, il senso di inadeguatezza, la paura, la rabbia. Così come tutti i giorni con ancora più determinazione lotta mia figlia, Emma, con il peso dello zaino colmo di difficoltà che la sindrome di down le ha portato in dote e che nessun risarcimento milionario o plastica facciale potrà alleviarle.
Ma certo posso dire che mia figlia ha una vita degna di essere vissuta e che conosco bambini, ragazzi e adulti che mi testimoniano ogni giorno che down è possibile. Parlo di persone che hanno relazioni interpersonali di qualità, possono divertirsi, possono avere una vita autonoma, possono studiare, possono amare, hanno delle opinioni, possono votare, e possono lavorare. La lista è lunga.
Ci sono altri diritti che rivendico volentieri, piuttosto che quello di un risarcimento, e che possono alleviare la fatica quotidiana di quel cromosoma in più: il diritto di essere amati, il diritto di avere un’occasione, il diritto alla fiducia, che tutti i bambini dovrebbero avere e con più forza rivendico il diritto a un’insegnate di sostegno, quello all’inclusione scolastica, quello a frequentare logopedia, psicomotricità, quello a salire su una giostra come tutti.
Anche questa lista è lunga.
Non posso negare che strapperei quel cromosoma in più a mia figlia se potessi, o che vorrei alleviare la sua quotidiana e ingiusta fatica, ma non mi sento in credito con la vita, né tanto meno con un medico o con un ospedale. Non voglio parlare nemmeno di dono, perché non mi sento toccata da una benedizione o da una scelta per questo, ma nemmeno dalla sfortuna o dalla colpa. Mi sento però toccata con forza dalla vita, come mi sento toccata dalla vita quando guardo tutti i miei tre figli, e guardo fiduciosa a mia figlia, alle sue opportunità e al suo futuro, guardo con onestà alle sue difficoltà e i suoi limiti, le cammino accanto insieme a suo padre e i suoi fratelli cercando di creare insieme a lei le condizioni perché possa crescere serena, autonoma, consapevole, responsabile.
Che poi non é quello che facciamo per tutti i nostri figli?
“Ci sono certi bambini che hanno bisogno di tempo per crescere. Questi bambini si chiamano down”
Giulia, sorella di Emma, 8 anni
Meravigliosa mamma, dalle tue parole traspare l’intelligenza, la sensibilità, l’apertura mentale, l’amore, la sincerità che ti appartengono!!! Tua figlia godrà di una mamma valida e coraggiosa e di fratelli cresciuti allo stesso modo che sapranno amarla e sostenerla come merita…quanta ricchezza di pensiero!!! Sono commossa e profondamente toccata dal tuo racconto, oltre che essere pienamente d’accordo…Un caro, profondo e sentito abbraccio per tutti voi!!!
Cara Paola, in verità io faccio la mamma e nel mio ruolo di mamma non faccio alcun esercizio. Non spendo le mie energie perché mia figlia venga trattata come tutti gli altri, voglio semplicemente che sia rispettata, lo stesso rispetto che chiedo nella vita per i suoi fratelli e per me stessa, non in quanto fratelli o madre di una persona con sdD, ma in quanto persona. Lavoro con lei perché possa leggere scrivere e studiare, e mi batto perché lei possa salire su una giostra perché è in grado di farlo e perché lo vuole, se non lo fosse accetterei insieme a mia figlia il limite che le impone la vita, e la aiuterei ad accettarlo se lei ne fosse consapevole e per questo soffrisse.
Quanto a Emma le assicuro che è una bambina serena e felice e ben integrata nella società, per crescere e stimolare bambini con sdd non c’è solo la musica, hanno potenzialità e capacità di autodeterminazione non così lontane dai loro coetanei.
Come molti genitori di figli disabili, non mi accanisco per “normalizzare” mia figlia, quello per cui mi batto è una cultura della diversità. Essere diversi è normale, l’accettazione a volte non è facile, ma è possibile e le garantisco che quello che voglio raccontare portando la mia esperienza è proprio “una vita possibile”. Ma per una vita possibile e degna non basta una famiglia, ci vuole anche una società inclusiva. Per questo non faccio la mia parte solo a casa…
Non so se ho risolto il suo dubbio, ma grazie di avermi dato l’occasione di chiarire.
c’è qualcosa che non torna nel suo post. Non mi torna l’esercizio che lei fa per far si che la sua bimba debba e venga considerata come gli altri bambini: questi bimbi debbono, studiale, leggere, scrivere, salire sulle giostre, dire buongiorno salutare educatamente etc…insomma debbano dimostrare di saper appartenere a una società che non li vuole per nulla. Quanti genitori devono non solo accettare, ma conformarsi a spingere la loro creatura su questo cammino difficile. Dicevo qualcosa non torna …non torna che la bimba non trovi in questa società il suo spazio di serenità che magari non comprenda obblighi, ma momenti di incontro con la musica per esempio. Non torna che ci sono bambini che per altre difficoltà , fisiche, non possano salire su una giostra ma questo non li considera , bimbi con difficoltà fisica, ma bambini diversi ….dobbiamo alleggerirci noi del peso della nostra normalità, che ci conforma a modelle o modelli, che ci divide nei fatti come persone. Non esistono bambini speciali, perchè altrimenti dovremmo accettare i bambini “non speciali” . Esistono bambini in grado di dare gioia ai cuori. Il compito dell’umanità è quello di vivere con gioia e serenità, il resto non conta. Un abbraccio a lei e alla sua bimba
ciao siamo a luglio e girando per il web ho trovato il tuo posto veramente bello e speciale.Mi permetto di dire che dietro una grande mamma probabilmente c’è una grande bambina è diventerá proprio così ne sono certa.
Manu
Mi chiamo Elena, e come te ho 4 figli di cui l’ultima, Viviana, ha la sindrome di down.
Mi rispecchio totalmente in ogni tuo singlo pensiero. Penso che questo nostro modo di vedere la vita in realtà nn è che una scelta, abbiamo scelto di prendere tutti i colori che il buon Dio ci ha dato e di arricchire il “nostro quadro” tutti i giorni, con sfumature diverse.
Mi sipace x quella famiglia che ha scelto solo il bianco e nero, x quanto si possa girare e voltare quel quadro rimarrà sempre ardido. Forse, in vero, hanno più bisogno loro di noi. Noi a volte dobbiamo fare i conti con il mondo esterno, ma quando la sera, chiudiamo la porta, e stiamo con la nostra famiglia, se pur imperfetta, xchè tutti siamo imperfetti, siamo felici!
Ti abbraccio e grazie x i tuoi pensieri!
Mamma Elena
Spero che la tua appassionata testimonianza sia letta da tante persone.
Spero che, prima o poi, questo mondo accetti il fatto che siamo individui, ognuno di noi unico e speciale, ognuno diversamente abile. E questa è, a mio avviso, la ricchezza dell’umanità.
(ne parlo anche nel mio blog)
Buona vita!
Grazie a Silvia per questo spazio di condivisione e grazie a tutti voi che avete letto e partecipato.
Leggere le testimonianze delle mamme di ragazzi più grandi mi scalda il cuore e mi rassicura sul futuro.
Un abbraccio ed un sorriso di piena ammirazione.
Anch’io sono mamma di una ragazza down ,di trentaquattro anni,probabilmente mia figlia non ha avuto le stesse possibilita’ d’inserimento nella vita lavorativa che ci sono oggi ,ma vi assicuro che e’ stata la nostra gioia piu’ grande.
COMPLIMENTI E’ PROPRIO COSI’………….I SONO MAMMA DI UNA SPLENDIDA RAGAZZA CHE OGGI HA 21 , LA SUA VITA E’ STATA IN SALITA MA OGNI GIORNO AFFRONTATO CON FIDUCIA , OGGI FREQUENTA IL 2 ANNO DI UNIVERSITA’ HA UN OTTIMA VITA DI RELAZIONE, STA SEGUENDO IN PARRALLELO ALL’UNIVERSITA’ UNA FORMAZIONE MIRATA AL LAVORO …. NON E’ STATO FACILE , LEI E’ STATA UNA PRIORITA’ ASSOLUTA MA SE SI VUOLE SI PUO’ ….
Dire che sottoscrivo ogni parola è poco, dico che la cultura dello sdegno ed emarginazione nei confronti di chi ha questa sindrome è vergognosa.
Da pedagogista lotto ogni giorno contro questa forma di ipocrisia, tutti a condividere foto di bimbi down sui social, a riempirsi la bocca di nulla, e alla prima occasione si girano dall’altra parte.
dico solo wow … perchè non cè altro da dire …la mamma di Emma lo ha detto nel modo migliore che si poteva!
Grazie per le tue parole! Le condivido in pieno e rimango del pensiero che ogni differenza sia un’opportunità! E credo che il mondo di bene che si è generato attorno “ai tanti zaini colmi di difficoltà” sia davvero un di più per la società intera!