Li ha lasciati piccoli, che si affacciavano all’adolescenza e li ha ritrovati quasi laureati.
Ingrid Betancourt, icona della lotta contro la corruzione e il traffico di droga, ha riabbracciato ieri i suoi due figli, dopo 6 anni e mezzo trascorsi nella foresta colombiana ostaggio dei guerriglieri delle Farc.
Migliaia di volte avrà sognato quell’abbraccio, milioni di volte avrà pensato a loro.
Nient’altro le avrebbe dato la forza di non lasciarsi morire. Solo il pensiero di 4 occhi in cui infrangersi e di 2 corpi, usciti dal tuo, in cui affondare la faccia stanca, hanno tenuto sveglia la speranza e all’erta la tenacia.
E vederli, ieri, stretti in quell’abbraccio sognato e pianto, è stato un momento vibrante.
Cosa facevo io nel febbraio 2002, quando è stata sequestrata? Non ero ancora sposata. Ripercorrere sei anni e mezzo attraverso le tappe della propria vita ne restituisce la lentezza.
Sono 328.500 giorni, 7.884.000 ore.
Eppure penso che Mélanie e Lorenzo siano i figli più ricchi del mondo.
Ricordo qualche stralcio di Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli, trasmessa dal governo colombiano alla famiglia di Ingrid nel dicembre 2007. Un racconto, duro ed esemplare della sua prigionia. Una lettera a una madre e da una madre. Una lettera impregnata di quell’amore viscerale, di quell’amore per qualcuno che è uscito dalle tue viscere e dalle cui viscere tu sei schizzato fuori, una lettera satura, piena, racchiusa tra dolore e amore, tra disperazione raccontata ad una madre e speranza gridata ai figli.
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