Ci sono storie che non si possono raccontare. E allora se ne raccontano altre.
A un bambino di 10 anni, ad esempio, si può raccontare che “essere uomini” significa essere “duri”. Fuori e dentro. Che i duri fanno 200 addominali al giorno, vanno al poligono a sparare e alzano la voce qualche volta di troppo.
A un bimbo si può anche raccontare che la mamma è una persona sbadata, disattenta. Che si fa sempre male perché è distratta. E chissà dove ha la testa quando sbatte in continuazione contro quel maledetto spigolo.
Con un figlio di 10 anni si può andare a pescare e lasciarsi andare a comenti sessisti, tanto “è piccolo”.
Ma i bambini di 10 anni sono persone serie. Per cui se un papà, prima di partire per una trasferta, gli chiede di “mettersi i pantaloni” e di vigilare “sopra le donne” affinché non succeda nulla, questo bambino prenderà il compito tremendamente sul serio. E litigherà con la sorella di 14 anni, mettendosi tra lei e i suoi amici come un molosso da guardia. Perché così si fa.
Quando una storia non può essere raccontata se anche tua sorella, più grande, la vuole raccontare e te ne parla, tu, negherai ogni evidenza e rifiuterai ogni ragionamento. Perché il papà è il tuo “supereroe”. Perché il “papà vuol bene alla mamma”. E certo, urla, sia arrabbia, ma “non la toccherebbe nemmeno con un fiore”.
Ma a 10 anni un bambino non è più solo un bambino. E se anche il suo “supereroe” è molto convincente nella recita del ruolo di padre perfetto, accade che poi, in sua assenza possa cominciare a osservare la mamma con occhi diversi e con pensieri suoi. La mamma. Una mamma che di nascosto, durante una assenza di lavoro del papà, ha ospitato in casa una donna senza fissa dimora, proprio quel genere di persona che suo padre definisce “senza dignità”.
L’insicurezza di mamma, la sua titubanza, le sue paure, la goffaggine che la faceva sbattere dappertutto non esistevano più, erano come scomparsi da quando quella donna era entrata nella sua testa, da quando aveva iniziato a preoccuparsi per lei.
(…)
«E se torna papà e non ti trova?»
«Gli dite la verità, che sono andata a trovare un’amica in ospedale».
«Un’amica? Ma tu non hai amiche!».
La vita di questa donna ungherese che vive per strada è una storia nella storia. È una storia che si può raccontare. Anzi che è stata già tanto raccontata: è Storia. È sui libri. Di una bambina e di sua madre, di persecuzione e dolore in una Budapest del 1940. Di paura.
Già la paura. Ecco il legame tra i capitoli del libro e i brevi racconti sulla persecuzione che li precedeono. La paura. La stessa paura di perdere tutto, vita compresa.
I sensi di colpa in un bambino di 10 anni possono essere alleggeriti oppure innaffiati. Innaffiare un senso di colpa in un bambino significa farlo crescere nella paura, nella convinzione di essere sbagliato, di non meritare nulla. Innaffiare un senso di colpa è un’altra faccia della stessa violenza.
Io mi sentivo malissimo, questa faccenda di Sarolta e della mamma che voleva aiutarla a ogni costo mi aveva già costretto a mentire a mio padre più volte.
Lui si fidava di me, si aspettava che gli dicessi tutto ciò che accadeva in casa, e io lo ripagavo facendo comunella con mamma e Mara.
(…) Pensavo solo che avevo tradito e stavo ingannando papà, che sarà stato anche brusco e duro, ma era sempre il miglior padre che si potesse desiderare.
E poi il momento della consapevolezza arriva e la storia che non può essere raccontata implode. E poi esplode. Senza fare sconti, senza metafore, senza passi lievi, ma pestando, con la convinzione e la forza di una bambino di 10 anni.
«Papà ti picchia?» le domandai a bruciapelo, senza giri di parole.
«Non sono più un bambino, insomma… I lividi, gli occhi neri e tutto il resto… Io credevo che tu fossi distratta…»
Ma io ricordavo bene le ferite di mamma. I suoi occhi neri, le braccia fasciate e quella volta che era stata all’ospedale perché era inciampata per le scale e si era rotta un braccio.
La storia non è tutta qui. Questa è solo quella parte di storia che non si può raccontare. Nel libro si intrecciano diversi piani, ciascuno perfetto per qualcuno.
Non è un libro solo per bambini e ragazzi. È un racconto di fantasia che porta con se la realtà di tutti i fatti di cronaca che ogni giorno incrociamo distrattamente sui giornali. Distrattamente fino a quando qualcosa non tocca anche te, magari anche indirettamente. E ti si apre un mondo, che stranamente non è popolato di mostri. Ma di uomini comuni. Di donne spaventate. Di bambini indeboliti.
Nemmeno con un fiore tira fuori la forza rubata. Perché i supereroi esistono. E non sono quelli dei fumetti.
In collaborazione con Giunti Editore
#nemmenoconunfiore
#maipiù
Lascia un commento