Mi sento una privilegiata.
Carla ha voluto donare a me e a questo blog la sua storia di sofferenza, ma anche di coraggio, di forza e di speranza.
Io mi faccio megafono di quest’urlo di rabbia e di dolore, che però è lanciato da una donna che appartiene “alla razza che non si arrende” e che, dunque, tanto ci può inesgnare, far riflettere e fare uscire dal nostro “orticello egoista”.
Mi sento piccola-piccola davanti a questo schermo, davanti a queste parole “e se tu vuoi parlare, sfogarti no, loro cambiano discorso, non si devono raccontare i propri dolori, le proprie angosce e tutto quello che vivi, rimane lì nelle quattro mura di una stanza di ospedale dove per forza ti devi tirare su”, ma no, qui, ora non si cambia discorso.
Cara Silvia,
ti scrivo perché in questo periodo sto ricevendo risposte agognate da tempo e che mi stanno parzialmente riconciliando con la mia esistenza degli ultimi anni, ma nel frattempo aprono ancora una volta uno squarcio sulla società attuale e su una sua espressione legislativa in particolare, la fatidica Legge 40, che per me è sempre stata profondamente ingiusta già da quando non mi toccava in prima persona ma che adesso ritengo lesiva della libertà di ciascun essere umano che voglia diventare genitore e che certo non per sua scelta abbia problemi come i nostri. So di non essere sola in questa sofferenza ed insofferenza, ma sento troppe poche voci di un coro che vorrei fosse alto, forte e potente e che non fosse magari relegato alle sole persone che subiscono l’ingiustizia associata al dolore.
Cerco di riepilogare brevemente la mia storia, che immagino possa dare diversi spunti di discussione, sempre se tu vorrai pubblicarla.
A gennaio 2005 scopro di essere incinta del mio primo figlio, dopo la prima visita mi presento dalla ginecologa per l’ecografia di controllo del battito cardiaco: questo è totalmente assente, la mia gravidanza è terminata prima ancora che ne potessi gioire appieno, non approfondisco le sensazioni i sentimenti provati all’epoca, aggiungo solo che la causa a seguito dell’analisi citogenetica del materiale abortivo risulta essere una trisomia del cromosoma 22 (ndr o sindrome degli occhi di gatto), praticamente incompatibile con la vita.
A giugno 2005, sono di nuovo incinta, non so se si possa dire ma io lo considero il mio “secondo” figlio: l’ecografia per il controllo del battito cardiaco e tutto il tempo passato fino ad arrivarci sono state una lunga apnea, abbiamo tirato un sospiro di sollievo solo quando abbiamo visto quel cuoricino che batteva con tutto il rumore che ci ha assordato. Siamo passati attraverso tutti gli step di quella che ricordo sempre come una gravidanza meravigliosa, tutti i controlli necessari anche se non indispensabili (compresa l’amniocentesi) e tutto è andato bene al di là di ogni nostra aspettativa.
Fino ai giorni successivi alla sua nascita: lo faccio nascere in clinica per sentirmi più “protetta” nella mia privacy con mio figlio e la mia famiglia, lui nasce alle 22.40 del 7 febbraio 2006 la prima notte la passa tra l’incubatrice ed il nido ed io nella mia incoscienza del primo nato non me ne preoccupo. I due giorni successivi cominciano a far strillare campanelli nella mia testa: il mio piccolino non ha alcun tipo di fame, non si attacca al seno, non gli interessa neanche il biberon, rimane quasi sempre nel suo stato sonnacchioso.
Al terzo giorno di vita gli fanno una radiografia all’addome, e secondo pediatra e radiologo non c’è niente di anormale, ma anche il pediatra si comincia a preoccupare anche se non ci dà indicazioni, salvo il giorno delle dimissioni in cui messo alle strette ci consiglia di andare al Bambin Gesù e ci augura che non sia un altro caso di “megacolon“.
Non prolungo la disquisizione: trascorriamo in ospedale tra analisi, radiografie, biopsie, trasfusioni, operazione finale e quant’altro dal quarto giorno di vita di mio figlio fino ai suoi 2 mesi, periodo in cui ha fatto più digiuno che altro, non ha potuto prendere un goccio del mio latte (che nonostante il trauma e tutto c’era ed era pure abbondante, nonostante la fatica e la sensazione di essere meno presente perché mi allontanavo dalla sua culletta per andare a tirarmelo nella “stanza del latte”), e da cui è uscito con gran parte del colon in meno ed una colostomia che a casa abbiamo dovuto accudire (altro che cura del troncone ombelicale: magari avessi potuto curarlo io e ritrovarmelo tra le mani invece che in una bustina per la raccolta della pipì nel suo sacchetto dell’ospedale!).
A 3 mesi e mezzo viene nuovamente operato per chiudere la colostomia, e comincia il nostro purgatorio per farlo rientrare nei percentili ed in una crescita normale con cure infinite per fargli accettare lo svezzamento “anticipato” ed una dermatite al sedere che non è neanche definibile da pannolino perché a causa della mancanza del colon le feci risultano altamente acide ed erodono la pelle fino alla carne viva.
Nonostante tutto questo, sono fortemente convinta che la mia famiglia possa solo migliorare aumentando il numero dei figli e visto che nessuno ci dà informazioni certe riguardo alle cause genetiche del Morbo di Hirshsprung (ndr o megacolon) a luglio 2007 rimango nuovamente incinta, con la speranza di avere un figlio sano e con la convinzione che “al massimo un altro megacolon lo possiamo affrontare”. Peccato che il destino ci riservi altre novità: mentre mio figlio subisce nuovi ricoveri per cause all’epoca sconosciute (sospette enterocoliti a cui sono soggetti gli operati di megacolon, molto più probabilmente l’aderenza intestinale operata successivamente), l’ecografia morfologica diagnostica un’agenesia del corpo calloso del nostro “terzo” figlio, maschio con amniocentesi normale. In un paio di settimane prendiamo la terribile decisione di rinunciare a questo figlio tanto voluto tramite aborto terapeutico alla 23^ settimana: non mi dilungo su ciò che anche quest’esperienza provoca in me, in noi genitori, perché dopo averla vissuta so che solo chi ci è passato sa cosa voglia dire e che la maggior parte delle persone non vogliono neanche approfondire per non ritrovarsi di fronte al baratro di dolore che si spalanca di fronte (ndr una IVG alla 23^ settimana è un parto vero e proprio).
Attualmente è da febbraio 2008 che siamo alla ricerca di notizie, informazioni, certezze relativamente alle cause di questo concatenarsi di “sfortune”, perché io appartengo a quella razza che non si arrende mai e cerca sempre una spiegazione razionale e “scientifica” alle cose che succedono, in modo da poter credere in qualcosa di “modificabile” e non nel caso. Abbiamo avuto, come dicevo all’inizio, le prime risposte: il nostro “unico” figlio è affetto da una mutazione di un gene ritenuto importante nella migrazione delle cellule neuronali al momento dello sviluppo dell’embrione: dobbiamo ancora verificare se uno di noi due genitori è effettivamente portatore sano di questa mutazione oppure se è derivata da un incrocio “sbagliato” del patrimonio genetico di noi genitori. Per la mia testa, questa risposta è comunque una cosa positiva, perché credo sia meglio sapere e conoscere che andare avanti al buio, ma contemporaneamente è negativa perché avessimo avuto maggiori informazioni forse mi sarei evitata il trauma psichico e fisico (sì, anche fisico) dell’interruzione volontaria di gravidanza.
Io e mio marito che desideriamo fermamente una famiglia grande con almeno un paio di figli ci siamo, ormai, rivolti all’adozione internazionale: prima di tutto perché i tempi di queste ricerche ci sono sembrati un po’ troppo lunghi, secondo perché comunque non rientriamo nella casistica della Legge 40. Infatti, come comprovato non siamo sterili, secondariamente avremmo bisogno di un’analisi preimpianto degli embrioni che non portino la mutazione probabilmente causa di tutto questo lungo e duro calvario, cosa che è assolutamente vietata nel nostro Paese, che nella fattispecie definirei retrogrado e mentalmente ristretto.
E poi, so che pare strano ma dopo le risposte sto cominciando a preoccuparmi per il futuro di mio figlio: non per la sua salute, ma perché come portatore di questa mutazione avrà il 50% di probabilità di trasmetterla ad eventuali figli, casomai lui volesse averne, e pensare che possa in futuro da aspirante genitore soffrire come noi abbiamo sofferto mi rende il pensiero ancora più odioso. So di non essere la sola, l’ho sperimentato in quei lunghi mesi d’ospedale ed in tutti i ricoveri successivi del mio nano: ci sono malformazioni di ogni genere e tipo, malattie di cui il 99,99% delle persone non conosce manco l’esistenza, ma io mi sento sola a voler gridare urlare l’ingiustizia della L. 40 e la mentalità piccola e ristretta di tanta gente che protesta contro l’aborto e poi però quando gli capita accanto al proprio figlio un bambino con problemi di vario genere e tipo lo tiene lontano, la società che ti dice di non ricorrere all’aborto e poi ti abbandona appresso alle mille incombenze necessarie per accudire figli con malformazioni (terapie, assistenza scolastica, ricoveri etc.) senza una mano d’aiuto, perché fondamentalmente non si riesce ad accettare il diverso, ciascuno chiuso nel proprio orticello egoista e se a qualcuno capita il peggio a noi non ci riguarda.
E quando capita, spesso è come se ci si sentisse in colpa, si tenta di nascondersi, di negare la verità e la realtà, perché le persone che incontri sanno solo dirti “anche a me è successo questo, anche alla figlia della conoscente del mio lontano parente, che vuoi fare devi andare avanti” e se tu vuoi parlare, sfogarti no, loro cambiano discorso non vogliono ascoltare, perché è difficile duro ascoltare la verità di chi è sceso all’inferno e sta tentando lentamente di tirarsene fuori, non si possono, non si devono raccontare i propri dolori, le proprie angosce e tutto quello che vivi, rimane lì nelle quattro mura di una stanza di ospedale dove per forza ti devi tirare su anche se tra una lacrima ed una battuta con le altre mamme sconosciute condividi molto di più di quello che condividi con le mamme che conosci “fuori” e che ti dovrebbero essere amiche.
Ci si sente in un recinto dove tu sei l’animale strano e tutti gli altri però ti passano intorno nella semi-indifferenza, ti danno uno sguardo tra il curioso, il patetico ed il giudicante e poi via passano oltre: vorrei tanto riuscire a non sentirmi più così, in modo da poter andare in giro con il mio nano per mano a mostrare la mia faccia felice ed orgogliosa madre di uno splendido essere speciale.
Grazie per la tua attenzione e la tua sensibilità, che sono sempre particolarmente toccanti.
CIAO CARLA LA TUA STORIA FA VENIRE VERAMENTE I BRIVIDI,TI AMMIRO MOLTO NON SONO TANTE LE PERSONE DISPOSTE A SOPPORTARE TUTTO QUESTO,COMPLIMENTI SII FORTE E COMBATTI X AVERE LE RISPOSTE CHE STAI CERCANDO VEDRAI CHE ARRIVERA IL GIORNO DOVE POTRAI DIRE”FINALMENTE CE L’HO FATTA” CRESCI CON AMORE TUO FIGLIO MA NON FARGLI PESARE LA SOFFERENZA CHE STAI PASSANDO.BUONA FORTUNA
Brava Carla! Continuate così! In bocca al lupo per tutto. Un bacio grande al tuo splendido nano.
Sono passata più volte da qui, senza mai riuscire a commentare. Però volevo ringraziarvi per avermi fatto riflettere ancora una volta sulle ingiustizie della L.40 e su come spesso si perda di vista l’interesse di chi alle leggi deve sottostare …
grazie Carla, donna coraggiosa e grazie Silvia, sempre.
a presto.
silvietta
Il dolore è difficile da affrontare, anche quando non ci tocca personalmente. E’ difficile perchè ci riporta alle nostre sofferenze che non vogliamo affrontare.
Quandoè morta mia madre molti sono spariti, con la scusa che “non volevano disturbare”, ignorando che il disturbo più grande era proprio il loro silenzio.
Coraggio, vale poco ma qui ti siamo tutte vicine.
è la terza volta che passo e rileggo questo post.
non so cosa scrivere, che parole mettere insieme di fronte a tale coraggio e forza. Mi fa male al cuore leggere di della sua solitudine e del comportamento degli altri. Ma credo che il tuo di sorriso come quello splendido di tuo figlio, non potrà proprio togliertelo nessuno.
Ciao a tutti, grazie delle vostre parole e soprattutto grazie a Silvia che ha risposto così prontamente ed efficacemente al mio “appello”: sono convinta che le mie parole alla fine siano uscite fuori più “focose” di come avrei voluto, ma io sono fatta così, e sicuramente ora mi sento meno sola. Partecipo con tutto il cuore ai percorsi di quante hanno scritto che hanno vissuto qualcosa di similare, e condivido con tuti gli altri la speranza (per mio figlio, per tutte le persone che sono portatrici sane di mutazioni genetiche, per tutte le persone che hanno problemi di infertilità) che in un futuro non troppo lontano la L. 40 venga modificata, in modo che ciascuno possa scegliere la propria via di essere genitore, con figli naturali, con figli della provetta, con figli adottati o senza figli (anche quella è una libera scelta, se lo si vuole). Anche perchè in Italia abbiamo la capacità per migliorare la vita delle persone, aumentando la ricerca medica e la relativa informazione e non vedo per quale motivo tale possibilità debba essere stroncata.
Un’ultima risposta: la forza per affrontare l’adozione la troviamo ogni giorno nel nostro nano che con la sua “sfacciata” serenità ci ricorda quanto sia bello (per noi) arricchire ulteriormente la famiglia!
Cara Carla, grazie per questo racconto. Hai ragione, tante, troppe, persone pensano solo al proprio orticello (altrimenti non si spiegherebbe l’esistenza dei movimenti antiabortisti e della legge 40), ma non siamo tutti così e questo blog ne è un esempio.
Come madre e donna, mi unisco al tuo urlo con tutta me stessa…In bocca al lupo!
Laura
Cara Carla, sono passata attraverso le ingiustizie delle legge ’40, ho odiato quella legge e la superficialità con cui ci si è accostati al referendum, eppure tante sono le coppie che si vedono nei centri infertilità. Non ho risposte ma molta rabbia dentro. Però io sono stata molto più fortunata di te, non so cosa avrei fatto al tuo posto. Ti ammiro e ti auguro che un quarto figlio arrivi presto tra voi, non potrebbe trovare casa migliore!
la legge 40 è orrenda, all’epoca mi ero opposta ma…è andata così. bisogna provarle certe cose per capire.
una cosa che mi fa rabbia e che ho capito solo nel tempo, a scoltando e vivendo racconti come il tuo, che l’amniocentesi è un’indagine parziale, che servirebbe un genetista e un’indicazione appropriata, invece è molto meglio per gli ambulatori farla fare a pagamento.
sono contenta che tu abbia aperto un blog e ti linko subito, perchè è importante che la voce di chi lotta per ottenere un riconoscimento sia udibile da tutti. un abbraccio
carissima Carla… leggo e piango. tutte le mie lacrime piu’ calde e vere…
so cosa provi. la tua rabbia e’ la mia. la solitudine infinita di chi si occupa del proprio unico orticello. un orticello il piu’ delle volte che si da’ per scontato…
scrivo da barcellona, proprio a causa della legge 40. sto aspettando di sapere quanti dei nostri piccoli,unici, meravigliosi embrioni sono sani. se sani ce ne saranno…
ti abbraccio infinitamente…
Cara Carla,
e’ indescrivibile la tempesta che ha scatenato dentro di me la tua lettera e, soprattutto, quella foto meravigliosa in cui il tuo bambino ride abbronzatissimo …
purtroppo, devo ammetterlo a malincuore, anche io devo mettermi in fila tra le persone ignoranti a proposito della legge 40.
ma la tua lettera mi ha dato uno spunto e cerchero’ sicuramente di informarmi.
quando leggo storie come la tua mi sento coinvolta in prima persona, per due motivi, entrrambi ancora duri da digerire e da esprimere: il primo e’ che anche mio figlio ha avuto dei problemi alla nascita, che poi si sono risolti in niente ma che, nella nebbia dei primi giorni, in cui nessuno da’ risposte concrete, mi hanno fatto spronfondare nella depressione.
il secondo motivo e’ che anche io ho abortito. ho abortito perche’ il mio matrimonio stava fallendo ma, soprattutto, perche’ ho avuto troppa paura di dover affrontare una gravidanza in cui, non avendo saputo subito di essere rimasta incinta e avendo preso medicinali, ecc ( pensavo di avere l’ influenza! ), avrebbero potuto esserci problemi per il mio piccolino.
non ho avuto la forza.
ma tu sei diversa. tu, nonostante tutto, hai avuto la forza di cercare un altro figlio.
di fronte a te mi sento una codarda. e lo sono.
mentre tu sei una splendida persona e mi sento di dirtelo pur avendo letto solo questa tua lettera. mi sento di dirlo perche’ questa lettera e’ la tua vita. sei tu.e la tua bellissima famiglia.
tuo figlio non soffrira’, ne sono sicura. perche’ da voi genitori ha certamente ereditato anche quella forte linfa che lo sta nutrendo fisicamente, ma anche mentalmente. per questo sono sicura che sara’ un uomo forte.
un abbraccio di cuore, paola
Ciao Carla… ho letto il tuo racconto e trovare le parole per commentarlo è difficile… credo che la cosa migliore sia rileggerlo e rileggerlo ancora… trovare tra le sue righe la consistenza di quell’amore infinito che solo un genitore e specialmente una mamma prova per i propri figli, un amore che spesso chi ha la fortuna di non dover affrontare certe difficoltà (come me per esempio) rischia di annacquare o offuscare da sciocche questioni quotidiane. Leggendo le tue parole sono andato con la mente ai miei pomeriggi al Meyer, a quei corridoi, a quelle stanze spesso chiuse, altre volte immerse nella penombra, dove spesso si respira anche senza entrarvi
il dolore e l’angoscia di chi c’è dentro… ho pensato ai miei pianti tornando a casa, a chi lasciavo lì tornando dalla mia famiglia, tornando dai miei figli che stavano bene… Conoscere certe esperienza aiuta tutti noi ad avere una consapevolezza maggiore. GRazie.
Grazie Carla,
grazie per avermi risvegliato dal mio torpore, grazie per avermi ricordato che la legge 40, nonostante il mio silenzio, è una legge che non mi piace, che non mi è mai piaciuta ma che con il passare del tempo ho dimenticato. Probabilmente perchè si dimentica ciò che si ritiene non ci riguardi.
grazie per avermi ricordato che non si deve tacere, non tanto in quanto donne o mamme, ma in quanto cittadine di un paese in cui abbiamo scelto di fare crescere i nostri figli.
grazie per la tua forza e per l’esempio che sei non solo per il nano, ma anche per me.
io stessa da oggi ascolterò con più attenzione…
E’ molto difficile commentare una lettera come questa, un po’ l’ho imparato a mie spese. Posso solo dire: se ce la si fa, se non è troppo doloroso riaprire le ferite e scavare nella solitudine, parlare è importante. Sembra che le parole cadano nel vuoto, perchè le persone istintivamente fuggono lontano dal dolore, ma quelle parole restano nell’aria, e qualcuno a cui servono, qualcuno per cui sono importanti, le può ascoltare e sentirsi meno solo.
Il nano è fantastico 🙂
Cara Carla,
ho scritto e cancellato queste poche righe diverse volte, come ogni volta che vengo travolta da una molteplicità di emozioni.
Se mi fermo a guardare la foto del tuo “nano”, come lo chiami tu, vedo in lui lo sguardo di un bimbo sfacciatamente sereno. E in quello sguardo rivedo gli occhi di molti ospiti di ospedali pediatrici:; bambini che affrontano il dolore e la malattia con forza e coraggio e che proprio per quei sorrisi che spesso inaspettatamente ci donano, meritano un rispetto che spesso noi grandi non siamo in grado di contraccambiare.
Il secondo pensiero è rivolto a te e a tutte le persone che fanno parte alla razza di “chi non si arrende”.
Al tuo desiderio di uscire dal silenzio forzato, dalla solitudine.
Alla voglia di urlare il tuo essere mamma.
Un pensiero anche a chi sceglie di rimanere nel “proprio orticello” e alza steccati per proteggerlo.
Ma da cosa?
Questo stento ancora a capirlo.
Io credo che dovremmo regalarci tutti un minuto per rileggere una volta ancora questo racconto, indossando un paio di occhiali con le lenti arcobaleno.
Ciao Carla, sono Manuela e ci siamo già conosciute tramite mail tempo fa perchè mio figlio è nato con la stesso problema del tuo. Sono pienamente daccordo con te su tutto quello che scrivi soprattutto sulla condivisione con le altre mamme. E’ vero che ognuno vive nel suo “orticello egoista”, ed io l’ho fatto fino a quattro anni fa quando è nato Riki, ma è anche vero che saremmo anche noi così se non avessimo dovuto e dovremo combattere le nostre piccole o grandi battaglie quotidiane.
Ti auguro di poter finalmente realizzare il tuo sogno di allargare la famiglia e di poter finalmente trovare un po’ di serenità.
Un abbraccio
Manuela
Ciao Carla,
ho letto tutto d’un fiato la tua lettera.
La tua storia e la mia hanno un paio di punti in comune.
Quando sono rimasta incinta la prima volta, la gravidanza si è interrotta di colpo dopo la prima eco (quella appunto dove ci hanno fatto sentire il battito). Purtroppo ho firmato e rischiando grosso sono andata a casa, così non ho potuto far analizzare nulla.
La seconda volta invece, durante la morfologica, il medico si è accorto che nostro figlio ha l’agenesia del corpo calloso. Anche nel nostro caso l’amniocentesi è risultata perfetta.
Facendo con mio marito un salto nel buio siamo andati avanti, ma non è stato per niente semplice.
Ora nostro figlio M. ha 29 mesi ed è la nostra ragione di vita.
Mio marito vorrebbe il secondo figlio così per sicurezza ci siamo sottoposti al cariotipo (risultato normale).
Posso chiederti quel’è l’esame da cui ti hanno rilevato il problema della mutazione?
Invidio molto la tua forza d’animo che percepisco dalla tua lettera, io mi faccio prendere dallo sconforto a volte.
Ti mando un abbraccio.
P.S. Ti lascio la mia mail se hai voglia e tempo di rispondermi: anna_roby2004@yahoo.it
Grazie.
cara carla,
leggere la tua storia è stao veramente toccante. La tua forza, la tua caparbietà sono un segno meraviglioso di un grande coraggio che solo una mamma può avere. Tuo figlio è bellissimo! Immagino sia dura crescere un figlio malato. Io sono tra le fortunate, Matteo ringraziando Dio sta bene! E devo dire che mi sento un pò in colpa: a volte mi arrabbio tanto per le sue bizze, perchè è un monello, senza pensare che c’è chi sta davvero male!
Un abbraccio grandre grande e un in bocca al lupo per tutto..e ovviamente un bacio speciale al tuo bimbo.
Raffaella
Devi essere orgogliosa!!!!! Sei una persona splendida e hai un figlio splendido. Non posso neanche immaginare il dolore che hai provato e stai provando, sono incinta di 5 mesi ed ho le lacrime agli occhi. Non entro in merito alla legge, non ne avrei le competenze e non voglio esprimere alcun giudizio. Voglio solo gridare insieme a te il tuo dolore. Forse un giorno si placherà (non si annullerà di certo). Dopo anni di sofferenza personale io ho cominciato ad applicare ciò che mi suggeriva mio padre: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Ciò significa che chi non è pronto, non è capace o non vuole accettarti non è degno di te. Ti sono vicina
Ciao Carla
ma dove lo prendi quel coraggio?
Ho passato gli ultimi quindici giorni a leggere le esperienze degli altri e la mia paura aumenta.
La mia gravidanza si è interrotta il 21/10/09 di sera alla decima settimana (secondo figlio a quasi quarant’anni). Pochi secondi dopo la sentenza data dall’ecografia, anche se di dubbi non ne avevo vista la cospicua perdita di sangue che avevo, ho subito chiesto quando potevo riprovare……..Dopo l’isterosuzione senza anestesia la pensavo gia’ diversamente. Ho passato fasi diverse di sensi di colpa e rabbia e di paura.
Mi sono conservata cio’ che mi rimaneva di mio figlio o figlia….il test di gravidanza (che stranamente avevo conservato) le foto dell’ecografia con il suo battito e le mutande di quella sera che le ostetriche mi hanno messo in un sacchettino e messo tra le mani.
Ho paura che possa ricapitare
magari di dover scoprire che c’e’ qualcosa che non va con l’amniocentesi e di dover fare quello che la natura gia’ da se ha fatto.
Mi sento anche oppressa dal tempo……I miei quasi quarant’anni……non mi lasciano spazio per far guarire questa ferita e un secondo figlio lo desidero tanto.
Vorrei avere io il tuo coraggio
Un abbraccio grande grande
Cristina
Cara Carla, la tua lettera è pesante da commentare e da leggere… Trasuda rabbia, sofferenza, solitudine.. Io sono mamma di due bimbi sani. Ho sempre detto che ero contraria all’aborto, ma dopo la prima figlia, che non ci ha dato particolari problemi, ho cambiato idea. Perché crescere un figlio sano è impegnativo, figuriamoci un figlio con problemi. Ti sono vicina e sono d’accordo con te, praticamente su tutto.. forse l’unica cosa che non capisco è perché volete adottare un altro figlio. Siete davvero sicuri? Scusa se te lo chiedo, ma io sono una persona franca. Davvero avete le forze per far crescere un altro figlio? Al di là di tutto però vi ammiro, perché da quello che descrivi si intravede una famiglia unita… E questo per me è fonte di “gelosia”. Un abbraccio forte