Quale causa sociale vi colpisce di più? Quali campagne di sensibilizzazione colgono nel segno? Quali vi colpiscono la pancia? Quali vi fanno, invece, riflettere? Cosa vi suscita fastidio? Su questo si è concentrata la prima ricerca italiana sull’advocacy: “Comunicare l’advocacy in Italia”, condotta da AstraRicerche, in collaborazione con CBM Italia Onlus, ONG collegata a CBM international, la più grande organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella prevenzione e cura delle forme evitabili di cecità e disabilità nei Paesi del Sud del mondo.
CBM Italia dal 2001 opera affinché le persone con disabilità possano sviluppare capacità e vivere la vita al meglio delle proprie possibilità, anche nei Paesi in via di sviluppo dove opera affinché possano accedere ai servizi sanitari, educativi e riabilitativi.
Cosa significa “advocacy”?
Con il termine “advocacy” si intende tutta l’attività di comunicazione e marketing non commerciale ma sociale e di patrocinio a buone cause al fine di modificare decisioni e comportamenti (collettivi e individuali) per migliorare situazioni singole o di comunità.
Ho lavorato come volontaria per diverse ONG e ONLUS: trovo questa ricerca realmente interessante e, soprattutto, utile ad orientare i passi futuri di sensibilizzazione, coscienza delle diversità e necessità di azione.
Le buone cause secondo gli italiani
Ma vediamo, più in dettaglio, che cosa evidenzia la ricerca e quali sono secondo gli italiani intervistati le “buone cause” che più li colpiscono e coinvolgono.
Al primo posto troviamo la lotta al maltrattamento e alla violenza sui bambini (61%) e sulle donne (56%), seguita dall’assistenza agli anziani (58%), alle persone con disabilità (56%) e ai malati gravi o terminali (52%).
Seguono la povertà e l’emarginazione in Italia (54%) e – distante- quella nei Paesi in via di sviluppo (35%).
È poi la volta della ricerca sulle malattie: sia quelle rare e meno note (51%), sia quelle diffuse e note (43%).
Coinvolgenti la metà del campione (50%) sono la tutela e il sostegno ai lavoratori e ai disoccupati.
Gli interventi nelle situazioni di crisi e di emergenze (catastrofi naturali, violenze, guerre specialmente nel Sud del mondo ecc…) stanno a cuore al 47% degli italiani. Troviamo poi l’interesse per i Paesi in via di sviluppo per quel che riguarda la prevenzione sanitaria (46%).
Volontà di cambiamento
Da cosa dipende la scelta di una organizzazione piuttosto che un’altra? Dalla capacità delle campagne di comunicazione di sviluppare nelle persone sentimenti di solidarietà e forte desiderio di voler fare qualcosa per migliorare la situazione a chi si trova in difficoltà.
Un dato mi ha colpito, perché lo condivido pienamente: l’advocacy funziona se non è tesa ad impietosire ma se suscita nelle persone la percezione di una volontà di cambiamento. Non pietà, ma azione.
La perfetta “buona causa”
Nell’insieme, seppur con molte eccezioni, la ricerca si può riassumere in questo modo: la “buona causa” perfetta è fondata su progetti specifici che permettono di controllare i risultati. Non è legata ad alcuna fede religiosa ma coinvolge le persone, i loro familiari e amici. È collegata alla comunità locale e sostenuta da organizzazioni non profit preferibilmente piccole o medie che lavorano sulla ricerca senza dimenticare le minoranze dimenticate.
L’argomento è interessante e merita un approfondimento: qui potete consultare e scaricare il PDF della ricerca.
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